(Italian) Il Dovere-Diritto Di Essere Liberi. E’ un progetto-intervento di acculturazione e empowerment collettivi
ORIGINAL LANGUAGES, 6 Feb 2012
Silvia Berruto – TRANSCEND Media Service
Italia.
Gavardo.
Provincia di Brescia.
Un paese di 11698 abitanti.
A circa tredici chilometri da Salò, sede tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, di alcuni ministeri della Repubblica Sociale Italiana (detta anche Repubblica di Salò)
Domenica 29 gennaio 2012.
L’appuntamento, per chi vuole esserci, è alle 13.00 presso la Biblioteca Civica.
Per un giorno della memoria particolare.
Ed è stato così.
All’interno del più ampio progetto culturale “Collettivamente memoria”, che mi intestardisco a portare avanti da cinque anni, l’anno scorso è nata l’idea di un progetto-intervento per misurare i cambiamenti negli atteggiamenti e nell’azione collettivi in un’ipotesi di percorso che ho chiamato “IL SOGNO DI UNA COSA.IL DOVERE-DIRITTO DI ESSERE LIBERI. In un contesto condiviso di rispetto delle regole valide per tutti”.
Una biblioteca fra le tante che frequento, Gavardo, ha accolto la sfida nata per caso, se il caso esistesse. Esistono, invece, le ragioni culturali che uniscono spazi, tempi e persone al di là dell’immaginabile.
La mia prima ricognizione in questa biblioteca avviene nell’estate 2010, per mie ragioni di ricerca, per seguitare con la ricerca di testimoni a Gavardo e per approfondire guerra, resistenza e deportazione in queste che sono le “mie parti”.
Con la biblioteca hanno accolto e rilanciato la sfida più di un centinaio di cittadine e di cittadini gavardesi e non.
80 studentesse e studenti delle cinque classi terze, (su un totale di 117), della scuola secondaria di primo grado, hanno accolto l’invito ad essere protagonisti di un percorso di partecipazione e di cittadinanza, fra storia e memoria, per un reportage-ricostruzione del bombardamento che il 29 gennaio 1945 stravolse la storia del “loro” paese.
Insieme a quattro insegnanti, due bibliotecarie, qualche genitore e numerosi testimoni (circa una decina) guide preziose e insostituibili per la ricognizione collettiva, abbiamo studiato l’avvenimento per l’intero pomeriggio.
Dalla biblioteca per ascoltare in silenzio, alle 13 e 29 minuti, i 50 rintocchi di campana che ricordano ogni anno i 50 morti del bombardamento, alla piazza, al centro sociale, alla casa di riposo, nuovamente in biblioteca, poi alla Santa Messa e, per finire, alla cerimonie di commemorazione religiosa e civile.
Siamo stati gruppo di memoria.
Siamo stati un gruppo, meticcio, di più di cento persone, formato da studenti, insegnanti, genitori e testimoni: non tutti di Gavardo e non tutti italiani. Tra loro anche alcuni “foresti” come la sottoscritta che, per l’occasione, ha deciso di essere strumentalmente ostaggio “culturale” di questo gruppo di giovani attivisti e apprendisti reporter.
Siamo stati cittadinanza attiva fatta di anziani, giovani, donne e uomini che si sono accompagnati reciprocamente, per chi è rimasto fino alla fine, per ben sette ore, testimoni di una buona pratica: l’esercizio collettivo di un protagonismo attivo, di un empowerment e di un’acculturazione, fra storia e memoria, per conoscere e per non dimenticare.
E’ stato un incontro intergenerazionale solo parzialmente riuscito per l’assenza, così vistosa da essere immediatamente percepibile, nei numeri, di una generazione: la generazione dei cinquantenni ovvero quella più vicina ai giovani reporter, presente invece, in massa, al rito della Santa Messa in suffragio delle vittime e alla successiva commemorazione civile in Piazza De’ Medici.
Si è rivelato, invece, un incontro interculturale riuscito, nel complesso compito-lavoro che questi giovani, indigeni e non, ogni giorno devono affrontare: la meravigliosa e quantomai faticosa avventura del crescere. A seguire la doppia fatica di crescere intellettualmente onesti, fra pari e non, in un mondo di adulti generalmente poco accogliente e poco “accompagnante” nei processi del divenire.
Anche collettivi.
E interculturali.
Rimando ad un altro report la pubblicazione dedicata dei nomi di tutti i giovani protagonisti: per il riconoscimento dovuto.
Tre fra i testimoni, ancora in vita, di quel 29 gennaio 1945, fonti orali preziosissime, hanno accolto “NOI100″ accompagnandoci con la saggezza disinvolta di chi sa chi ha di fronte a sé, e dopo aver, di noi, certamente verificato, e riconosciuto, la serietà e la sincerità degli intenti: Piero Simoni, per tutti il maestro Simoni, Lanfranco Agostini, Antonio Poli.
Al centro sociale abbiamo avuto l’onore e il piacere di conoscere Franco Prati, Giovanni Tobanelli e Antonio Abastanotti che, insieme ad alcune donne gavardesi, ci hanno offerto la loro testimonianza.
E, in ultimo ma non per ultimo, alla casa di riposo “La Memoria” se mai avessimo scordato il segno e la direzione del nostro voler comprendere, quattro testimoni ci aspettavano con grande disponibilità e in assetto da intervista: le Signore Evelina Rivetta, Bianca Simoni, Lucia Chiodi e Annunciata Franceschini.
A casa ci aspettavano Letizia Portesi, Flaminia Amici, Silvana Codurri, Marì Baresi.
Testimoni lucidi e ancora provati da un evento dai molti interrogativi aperti che ha segnato per sempre, come solo LA GUERRA può fare, le generazioni e la vita di una comunità.
E’ stato poi il momento delle “cerimonie” della memoria: il rito religioso e il rito civile.
Il Sindaco di Gavardo Emanuele Vezzola ha letto, in un silenzio più che assordante, tagliato solo dalla commozione collettiva, i nomi dei cinquanta morti.
Fra i reporter presenti, 25 ragazze e ragazzi, in un protocollo fuori ordinanza ma certamente com-partecipato e interpretato in un modo altro, forse più vicino alle modalità espressive giovanili, hanno assunto personalmente l’onere della memoria collettiva.
Attraverso il gesto semplice del presentare ai convenuti le foto dei concittadini morti e del fare un passo avanti all’appello, questi giovani hanno saputo restituire, per un istante, un nome ad ogni volto, tributando ad ogni loro concittadino scomparso un omaggio dedicato.
A significare come solo la memoria sa fare l’immortalità del sacrificio inutile di ogni morto a causa di ogni guerra.
“Il dovere-diritto di essere liberi” passa, nel percorso di emancipazione verso libertà più complete e collettive, anche attraverso la coscientizzazione degli errori e degli orrori pagati al prezzo di vite, non solo umane.
Per conoscere. Per poi poter scegliere.
Il maestro Piero Simoni, 92 anni, è tornato anche il giorno dopo per accompagnare i ragazzi nella non facile stesura del report finale.
Tutto questo è stato possibile grazie agli intenti e agli sforzi di molti tra cui il Comune di Gavardo, l’Assessorato alla Cultura del Comune, la Biblioteca Civica, la scuola “Giuseppe Bertolotti”.
Per la coregia locale delle bibliotecarie Emanuela Franzoni e Patrizia Barba, per la disponibilità senza riserve dei testimoni, del Centro Sociale, della casa di riposo “La Memoria”, delle insegnanti accompagnanti: le professoresse Emanuela Bruschi, Giovanna Erculiani, Adele Massardi e, nella doppia veste di genitrice-docente, Milena Bianchini.
Ai PROTAGONISTI, ai giovani, con i quali ho desiderato ancora una volta fare storia e memoria, dico “Grazie” ricordando che in Italia non è scontato che una biblioteca apra le sue porte di domenica.
Agli adulti segnalo che sette ore di lavoro davvero “di qualità” degli 80 reporter non sono scontate e non sono poche.
E ancora che il significato di vivere in collettività è quello di accompagnarsi in tutte le fasi della vita.
Il cui opposto è, assai troppo banalmente, la morte.
Ma se alla morte, per natura, non è dato opporsi, alla morte per cultura invece è possibile.
La Nonviolenza è la via.
Ai giovani Oscar Luigi Scalfaro ebbe a dire
“NON ARRENDETEVI MAI, MAI. NON ESISTE”
con rispetto,
silvia berruto
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