(Italiano) Aosta. Quarant’anni sempre per la verità
ORIGINAL LANGUAGES, 24 Nov 2014
Silvia Berruto – TRANSCEND Media Service
Memorie e attualità della strage di Piazza Loggia (28 maggio 1974- 28 maggio 2014). Seconda Parte
Extrait dell’intervento di Manlio Milani, presidente dell’associazione familiari Caduti di Piazza della Loggia e della Casa della Memoria di Brescia.
– seconda parte –
Preambolo
In occasione del quarantennale della strage di Piazza della Loggia il progetto culturale Collettivamente Memoria ha voluto che Manlio Milani e l’avvocato di parte civile Silvia Guarneri, portassero la loro testimonianza ad Aosta.
Per un pubblico allargato, la sera di giovedì 6 novembre 2014 presso la Biblioteca regionale di Aosta.
Per gli studenti 160 e almeno 13 insegnanti accompagnatori, venerdì 7 novembre 2014 presso il Salone delle Manifestazioni di Palazzo regionale di Aosta.
Ogni antifascista a Brescia la mattina del 28 maggio 1974 o era in piazza o in quella piazza aveva qualcuno “dei suoi” presente.
Tanti, troppi sopravvissuti, a quarant’anni dalla strage, ancora si domandano le ragioni per le quali sono ancora in vita.
A tutti: ai sopravvissuti, ai feriti nell’anima, alle otto vittime che ancora una volta voglio ricordare:
Giulietta Banzi Bazoli, 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, 32 anni, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante
Euplo Natali, 69 anni, pensionato
Luigi Pinto, 25 anni, insegnante
Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio
Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante
Vittorio Zambarda, 60 anni, pensionato
e ai loro familiari,
ai 102 feriti nel corpo,
e ai loro familiari, va il mio abbraccio, lungo, commosso, discreto.
Desidero citare qui il passo di Ivan Giugno nella sua “UNA NON PRESENTAZIONE” all’opera jazz “IN MEMORIAM” (che recensirò a breve anche su questo portale) commissionata dalla libreria cooperativa “Rinascita” di Brescia e prodotta da Matilde Brescianini per Medulla e da Rinascita col sostegno della CGIL.
[…] “Questo hanno fatto Battaglia, Rabbia e Aarset, insieme ad Amadori e Cifarelli, proponendo uno spettacolo indimenticabile che parla alla mente, ma, soprattutto al cuore di tutti, e in particolare a noi che, allora, in Piazza Loggia c’eravamo e che, ancora oggi, non abbiamo capito perché siamo sopravvissuti”.
L’incontro del 6.11.2014 per CM.
Il punto di partenza della riflessione di Manlio Milani si incentra sulla necessità che i fatti debbano sempre essere collocati storicamente per coglierne la complessità.
Questo per far emergere il bisogno collettivo di avere delle istituzioni sempre pronte a restituire VERITA’ nella comprensione dei fatti, sostiene Milani.
“Perché credo che la forza di una democrazia stia anche nel riconoscere i propri errori e limiti per poi affermare principi di verità.”
Milani si riferisce alle parole dette dal Presidente Grasso il giorno precedente in merito al caso Cucchi preso in esame come caso a sé, estrapolato e decontestualizzato. In questo senso, dice Milani, il fatto viene interpretato in chiave negativa perché si prende l’occasione di un fatto e ci si limita ad esso senza comprenderne la complessità.
“Se non cogliamo la complessità non riusciamo a cambiare le cose, non riusciamo a renderci consapevoli di che cosa significhi capire la mancanza di verità, che cosa produce di negativo e che cosa invece la verità affermandosi, riconosciuta in tutti suoi aspetti, può produrre in termini positivi nel processo democratico, nelle modalità dello stare insieme.”
Sulla strategia della tensione si corre il rischio di non cogliere le verità che oggi conosciamo e dall’altro lato di farle scomparire dalla memoria.
Ma dalla memoria non scompaiono … “e sono lì come buchi neri che costantemente chiedono di essere riempiti”.
Da tempo Milani e la Casa della memoria stanno portando avanti un’istanza che riguarda alcune strutture fondamentali del modo di essere democrazia in questo paese: gli archivi. Tema questo fondamentale per decidere quale memoria si voglia preservare all’interno del paese e quindi quale memoria si intenda trasmettere alle nuove generazioni.
La trasmissione della memoria alle nuove generazioni non è un fatto mnemonico legato a date ed avvenimenti accaduti, sostiene Milani, ma la comprensione della storia di un paese. “La storia di un paese, in questo caso il nostro, soprattutto dal periodo postfascista in poi. Come è nata questa Repubblica, come si è formata, quali costi ha dovuto pagare per costruirsi e quali costi ha dovuto pagare per ri-costruirsi, per continuare ad essere democrazia e non diventare qualche cosa d’altro.
Perché la memoria è un processo identitario dell’uomo e lo è nella storia del suo paese. Non tanto come storia privata ma soprattutto come storia di carattere collettivo.”
La messa a disposizione e l’apertura degli archivi sono importanti affinché i cittadini abbiano la possibilità di conoscere, analizzare e criticare la storia e di trarne da essa tutti gli insegnamenti che la storia del passato può dare.
“Così come è importante che la direttiva sull’abolizione del segreto di stato, messa in campo dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri è importante non può fermarsi lì. Ha bisogno di una grande volontà che, oltre che alla messa a disposizione dei documenti, ci dica anche come sono messi a disposizione questi documenti.
Dopo 40 anni la legge sul segreto di stato prevede oggi che i tempi massimi di desecretazione di un documento siano di 30 anni.
E’ ancora tutto molto evanescente perché, in realtà, non sappiamo ancora quanti archivi abbiamo in questo paese.
La direttiva prevede che tutto debba confluire nell’archivio di stato: per il momento sono confluiti alcuni materiali provenienti dal Ministero degli Esteri, non sappiamo quello del Ministero degli Interni.
Ci sono 38 archivi che non conosciamo tra cui gli archivi dell’arma dei Carabinieri e delle forze di Polizia.
Se noi non abbiamo questa disponibilità anche nelle strutture istituzionali o dell’arma difficilmente possiamo ricostruire la credibilità istituzionale che molto spesso è minata anche da ciò che appare come fallimento giudiziario ma che spesso è il fallimento conseguente alla mancata collaborazione tra i vari momenti istituzionali e troppo spesso vediamo che questa mancata collaborazione troppo spesso non è un fatto puramente burocratico è una mancata collaborazione costruita.
Pianificata.
Messa in atto in termini molto ma molto precisi.”
Così come è estremamente importante il protocollo sottoscritto a Roma il 9 maggio scorso con la Presidente della Camera Boldrini e il Ministro della Pubblica Istruzione che sostiene che nelle scuole bisogna riaffermare e riportare l’educazione civica e che “anche gli anni Settanta hanno bisogno di essere affrontati. Perché è in quel contesto lì che la memoria deve servire.”
In una recente indagine del CENSIS 2014 (link) realizzata in occasione del quarantennale a Brescia sugli studenti delle scuole superiori e di provincia è risultato ad esempio un dato assai importante, dice Milani. “Il 70% degli studenti riconosce l’importanza e il valore di avere memoria della storia del passato e ritiene che i primi trasmettitori di memoria devono essere gli insegnanti, sottolinenando così il valore della scuola come strumento fondamentale per costruire memoria.
La memoria in una scuola intesa come spazio libero all’interno del quale tutte le opinioni devono trovare capacità di ascolto e di confronto e dove è decisivo il capire come si è formata la storia e come si sono svolti i fatti. E quindi “è lì si forma davvero il modo di essere di un paese attraverso le nuove generazioni che sanno guardare al passato attraverso il loro presente ma che sanno anche che quel passato può insegnare rispetto al loro presente e rispetto al loro futuro.”
A questo punto si inserisce il tema della necessità di saper sempre distinguere rispetto alle cose.
“Dobbiamo sempre aver la forza di saper distinguere perché le verità che non conosciamo sono responsabilità di uomini dello stato hanno operato contro la verità ma è altrettanto vero che altrettanti uomini dello stato hanno saputo per far emergere le verità che oggi conosciamo.
Saper distinguere è dunque fondamentale. Richiede la volontà di voler conoscere, l’assunzione di responsabilità singola per cercare di capire e di cogliere i fatti come si sono svolti.
“Noi quest’anno abbiamo compiuto quarant’anni e potrà apparire strano ma ci sono stati due fatti molto diversi in quella piazza (Piazza della Loggia, ndr) in questo 28 maggio.
In una piazza adiacente a piazza della loggia nell’aula del consiglio comunale e in una rappresentazione operistica, in un teatro, abbiamo potuto cogliere i volto dei cittadini come erano quarant’anni prima. Volti scolpiti dal dolore … quasi sospesi in una certa misura perché non credevano a quanto fosse successo. Erano attoniti.
E’ stato estremamente importante perché tutti quei volti, esclusi quelli dei morti, ci hanno testimoniato un fatto estremamente importante e cioè che quella strage, prima di colpire otto persone, ha colpito tutti. Ha colpito il paese. E allora il valore di quei volti era di dire questo è in primo luogo un fatto pubblico. E il valore di riproporre quei volti era di ricordare una memoria pubblica di un fatto che è accaduto a tutti.
Contemporaneamente abbiamo avuto una miriade di cori di bambini in quella piazza del 28 maggio (2014, ndr). Di fronte a quei volti attoniti, di fronte alla violenza, di fronte alla volontà di far prevalere l’idea di morte rispetto all’idea di vita, quei bambini erano lì a dirci che piazza della Loggia quel giorno era una piazza viva e non era lì a ricordare la morte ma era lì a ricordare un fatto che ha avuto anche otto persone uccise a cui è stata violentemente tolta la vita. E’ giusto ricordare che cosa significa violenza, che cosa significa interrompere la vita di persone, di coppie, è giusto far risaltare ed esaltare il senso del vivere diventa il modo migliore per combattere l’ideologia della morte e quindi una modalità che rifiuta lo stare insieme.
Questi due elementi credo abbiano caratterizzato il 28 maggio ma hanno anche significato il percorso di questi quarant’anni di vita e di impegno intorno a questo fatto ma attorno ai fatti nella loro globalità.”
Nello stesso tempo bisogna valutare i fatti: cosa è accaduto, perché è accaduto, che cosa si proponeva quel fatto.
Al centro degli attacchi dei due terrorismi c’era la nostra Costituzione.
Il 28 maggio 1974 arriva in un momento particolare di straordinaria euforia del nostro paese e nello stesso tempo di violenza incredibile.
La straordinaria euforia che ci dimostra come il paese era cambiato sotto la spinta dei movimenti in termini positivi di grande avanzata democratica: il ’68. la scuola, lo statuto dei lavoratori, l’istituzione delle regioni. In quei giorni lì trova la sua espressione forse più alta: il referendum sul divorzio (12 e 13 maggio 1974). I cittadini si esprimono su un valore civile e il diritto di poter operare le proprie scelte soggettive.
In quel momento esplode forse il massimo della violenza la strage il 28 maggio 1974.
Ed è una strage che ha tutta una sua particolarità.
Certo la manifestazione è una risposta alla violenza che Brescia stava subendo in quel momento che mette a nudo anche l’obiettivo di chi ha organizzato la violenza.
Perché la strage avviene durante una manifestazione antifascista ed è importante sottolineare questo aspetto perché si contrappongono due modalità: da un lato la violenza esercitata da singoli o da gruppi ristretti e dall’altro lato le forze democratiche – in quel caso tutti i partiti politici (escluso MSI, ndr) tutte le sigle sindacali che dichiarano lo sciopero generale, le ACLI, l’azione cattolica, l’ARCI che non accettano più la violenza e che decidono di farlo senza porsi sullo stesso piano di chi ingenerava violenza.
Come rispondere allora ?
“Non dobbiamo rispondere alla violenza utilizzando la violenza. Bisogna andare tutti in piazza a dimostrare che NOI democraticamente vogliamo sconfiggere la violenza.”
Questo è il senso della manifestazione del 28 maggio che la rende diversa dalle altre stragi nel senso che “le altre stragi appaiono come atti puri e semplici di terrorismo: la banca (Banca dell’Agricoltura, ndr), il treno (Italicus,ndr). Rendere insicuro qualsiasi luogo con lo scopo preciso è di ingenerare paura. Attraverso la paura determinare condizioni di richiesta di ordine pubblico attraverso l’ordine pubblico arrivare alla sospensione di libertà democratiche.
In Piazza Loggia si dice apertamente che ciò che si vuole sfidare sono le istituzioni nel loro insieme.”
Questo è l’obiettivo esplicitato in Piazza della Loggia al punto che, ricorda Milani, ci sarà chi, (appartenente alla destra, ndr), dirà che la strage è stata profondamente remunerativa perché “non abbiamo colpito dei civili ma degli avversari politici.”
Pur rimanendo il tema della paura e del determinare caos fondamentale resta questo obiettivo.
La lezione viene dalla risposta della città.
La città è stata autogestita per tre giorni.
Fu una scelta politica.
Il servizio d’ordine dal basso ha vigilato sulla città e sui funerali che registreranno circa 600.000 presenze di donne e uomini provenienti da tutta Italia.
Il Presidente della Repubblica (Giovanni Leone, ndr) è stato difeso e fischiato.
Difeso in quanto rappresentante dell’istituzione ma fischiato a indicare la necessità di cambiamento di una classe dirigente che non era stata all’altezza. Il cambiamento però doveva avvenire all’interno di un processo democratico.
“Non va mai perso il senso delle istituzioni, insiste Milani, le istituzioni rimangono al di là di chi le rappresenta.
La grande risposta del 28 maggio nasce da questo presupposto.
“Resta il sapore molto amaro della violenza – conclude Milani – che assume la dimensione delle otto persone uccise in quella piazza.”
“Mai dimenticare che la violenza distrugge delle persone, distrugge la loro vita, i loro sogni, i loro progetti. Distrugge chi è morto ma può distruggere coloro che sopravvivono a quella vicenda.”
Ma chi erano quelle persone ? si chiede Manlio.
Gli otto morti sono emblematici della realtà del paese.
Un operaio, cinque insegnanti, due pensionati ed ex partigiani.
A dire, e a certificare, che i valori del lavoro, della scuola e della Resistenza sono i cardini su cui si fonda una società democratica. Ma anche a ricordare che la democrazia non è un bene acquisito per sempre.
“Io credo che sia questa la grande eredità che ci ha lasciato Piazza della Loggia: il rifiuto della violenza, l’esaltazione della vita, la memoria, la necessità di conoscere la memoria e conoscere la storia nella sua complessità, il saper dialogare dentro di essa e attraverso questa costruire prospettive di futuro.”
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Silvia Berruto, antifascista
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