(Italiano) “Ricordare vuol dire non morire”
ORIGINAL LANGUAGES, 9 Feb 2015
Silvia Berruto – TRANSCEND Media Service
27 gennaio 2015. Aosta. “Collettivamente memoria 2015″
“Ricordare vuol dire non morire”
Questo è l’ordine che un padre lascia al proprio figlio testo poetico “Brano dal mio testamento” (1957) di Kriton Athanasulis, letto in versione originale, dimotikì, e interpretato da cinque giovani, intellettuali, studenti sedicenni valdostani: Francesca Lo Verso, Erika Follis, Andrea Gaudio, Beatrice Vaccaro con l’accompagnamento al basso di Silvia De Gattis.
Portato e interpretato in italiano da Roberto Contardo, figlio di Ida Desandré, deportata politica nei campi di Ravensbrück, Salgitter e Bergen-Belsen, una dei tre dedicatari del progetto culturale “Collettivamente memoria 2015″ insieme al deportato politico Italo Tibaldi – deportato a Mauthausen e ad Ebensee – e ad Anna Cisero Dati, staffetta partigiana.
Tra amici, tre maestri, compagni della storia personale di chi scrive: umana, culturale, politica, in un percorso senza ritorno, sulla via dell’accoglienza e dell’accettazione del “passaggio del testimone”.
Ho scelto questo testo, a più voci, in greco moderno e in italiano, perché solo Roberto può incarnare, nel senso più stretto e vero del termine – il figlio – nella realtà quotidiana e non nel mero testo poetico – al quale il genitore – Ida – viva, tra noi e con noi – lascia la sua memoria: “Ti lascio la memoria di Belsen e Auschwitz”.
E noi, attraverso Roberto e con Roberto, riceviamo ancora una volta e ancora una volta rinnoviamo, come dice Italo nell’ultimo nostro incontro, il dovere di trasmettere.
“Io credo che io ho il dovere della testimonianza. Voi avete il dovere della trasmissione” le parole precise di Italo nella nostra ultima intervista.
Per agire quel difficile, arduo, ma improcrastinabile tentativo di costruire un NOI che possa davvero fare e farsi “collettivamente memoria”.
Persempre.
Attraverso un racconto per immagini ho provato a sintetizzare otto anni di questo progetto culturale per dare un volto ai giovani creativi protagonisti attivi di ogni edizione di Collettivamente Memoria.
La regista Michela Cane con il suo “44145 Anna” su Anna Cherchi (2008) e Valerio Herrera e Federico Puppi con “NO” (2009), cortometraggio presentato al concorso nazionale “Filmare la storia” nel 2005, indetto dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino, che ha ricevuto la menzione della giuria “Per la costruzione originale e per gli inconsueti accostamenti iconografici”.
La regista Maura Crudeli con il suo “Razza impura”, il corto “Il principe e la strega” prodotto da Parallelo 41/ Arcimovie Napoli/ 70° Circolo Didattico di Napoli presentato da Antonio Borrelli sempre nel 2009.
Alcune classi delle istituzioni scolastiche Aosta 1, Aosta 4, Eugenia Martinet e Regina Maria Adelaide, nel 2010, hanno apprezzato, secondo l’ordine di arrivo del tutto casuale, estratti e spezzoni dell’operazione culturale – prima assoluta valdostana a mio sapere – della proiezione integrale, da me proposta con Collettivamente memoria, di “SHOAH” di Claude Lanzmann.
Nel 2011 “Nazism was beautiful” e “The frontal side of Nazism”, due corti, entrambi del 2008, realizzati da Enrico Granzotto, sono stati proposti, e apprezzati, non solo ad Aosta ma anche a Gavardo (Brescia- Lombardia) all’interno del mio progetto culturale © “Il sogno di una cosa. Il dovere-diritto di essere liberi in un contesto condiviso del rispetto delle regole valide per tutti” (dicembre 2011- aprile 2012).
Sempre nel 2011 necessarie e toccanti sono state le testimonianze dell’incontro con Italo di Fabio Verducci e di Alessandro Di Renzo che ha realizzato le riprese dell’intervista a Italo Tibaldi nel febbraio del 2010.
Fabio Verducci aveva incontrato Italo Tibaldi al “Treno della memoria” ad Aosta il 20 maggio 2004. In virtù di una promessa rispettata Italo consegnò a Fabio, quel pomeriggio, una “spilletta” che portava sulla giacca.
Il ricordo e le emozioni, ancor vive, sono state restituite, sette anni dopo, dal volto e dalla voce, commossi, di Fabio e sono apprezzabili in una videotestimonianza registrata.
Così vale anche per la testimonianza di Alessandro Di Renzo che, a tre mesi dalla morte di Italo, dal tavolo dei relatori, ha comunicato, con la sintesi che gli è propria, il senso e l’importanza dell’aver realizzato l’intervista solo pochi mesi prima a Italo.
Pierre Meynet ha intervistato in diretta il nonno Louis. Con la presenza in sala del padre di Pierre, Bruno, si è prodotto l’auspicato, ricercato e riuscito, incontro-scambio intergenerazionale, fondamentale per la costruzione della/e memoria/e attraverso i testimoni diretti secondo la vision di Collettivamente memoria.
Nel 2012 a Gavardo sono stati 117 i giovani (tutte le studentesse e gli studenti delle classi terze della scuola secondaria di primo grado del paese) che hanno portato a termine, preparando anche l’esame di licenza, il percorso su menzionato.
Tra i prodotti realizzati sono da segnalare: il video “29 gennaio” integralmente a cura delle studentesse e degli studenti, lo spettacolo teatrale “29 gennaio 1945: perché”, una mostra multimediale sui temi della pace e della guerra con bibliografie e opere dedicate e un numero speciale monografico di 32 pagine allegato a “Il Gattopardo” (mensile del e sul paese di Gavardo) contenente tutto il progetto.
Nel 2013 “Donne contro il mostro.Testimonianze della deportazione femminile” è stata la dottoressa Fabienne Proment a proporre la propria tesi di laurea a fianco di Ida Desandré.
Nell’ottobre 2014 il video “Diario di una strage” (2014), a cura dei Giovani Democratici di Brescia, ha segnato le menti e le sensibilità degli studenti e del pubblico valdostani in occasione del quarantennale della strage negli incontri “Quarant’anni sempre per la verità”.
Martedì 27 gennaio 2015, Giorno della Memoria, in Biblioteca regionale di Aosta, ho inteso ri-proporre i giovani al centro, non solo dell’incontro e della riflessione, soprattutto e sempre, delle loro proposte anche artistiche.
Il titolo che Collettivamente memoria propone da alcuni anni per il 27 gennaio è: “Per la costruzione dei futuri della/e memoria/e e della deportazione attraverso i testimoni e le testimonianze, quest’anno è stato centrato sull”empowerment, sul ruolo e sul protagonismo dei giovani.”
Le opere presentate il 27 gennaio 2015 sono state due: il testo poetico “’Aπόσπασμα ἀπό tἡ diαθήkη μou” – Brano dal mio testamento e “Noi non moriremo in silenzio”.
I cinque interpreti del testo in dimotikì del “Brano del mio testamento” di Kriton Athanasulis – Francesca Lo Verso, Erika Follis, Andrea Gaudio, Beatrice Vaccaro, accompagnati dalla musicista Silvia De Gattis al basso – hanno costruito un contributo di alto impegno civile e di prestigioso valore collettivo.
Con passione e lucidità, presenti al presente, eppur calati nella dimensione storica, questi cinque giovani hanno meditato su ciò che è stato.
Andrea Gaudio ha presentato al pubblico il lavoro collettivo di questo gruppo informale costituitosi per l’occasione.
“Il significato del nostro lavoro – dice Andrea – è stato quello di dare un piccolo contributo a una grande memoria collettiva che si sta formando negli anni che hanno seguito le guerre mondiali e lo sterminio degli Ebrei.
Questa memoria, secondo me, deve entrare a far parte di ognuno. Ognuno la deve rielaborare. E in più, come dice il poeta nel suo testamento, questa memoria deve darci una libertà, una capacità di analizzare i fatti avvenuti e di farli nostri, cercando di immedesimarci nelle opere e nelle sofferenze delle persone che sono morte e hanno sofferto in maniera terribile.
Vi prego di ascoltare il nostro pezzo e di perdonare gli errori che potremo fare.”
Per il supporto a questo lavoro collettivo si ringraziano “collettivamente” e con riconoscenza: Roberto Arbaney, Carla Fracchia, Marie-Laurence Alexis per la condivisione e per la supervisione in dimotikì, René Desandré per le riprese in sala conferenze, Franco De Gattis per le riprese “mobili”, il docente Alessandro Majorino per la collaborazione data a Silvia per l’interpretazione strumentale del testo poetico e l’attrice e amica Paola Roman per le suggestioni di regia.
“Noi non moriremo in silenzio” (2015) è un’intervista a Italo Tibaldi.
L’ultima per Alessandro Di Renzo e per la sottoscritta.
Per le riprese di Alessandro Di Renzo, il montaggio di Andrea Di Renzo e l’intervista di Silvia Berruto.
E’ stato l’ultimo incontro quello del 17 febbraio 2010.
Struggente col senno di poi perché sul momento si celebrava il rito, felice, ricorrente e permanente, dell’accoglienza senza se e senza ma, da parte del deportato politico Italo Tibaldi verso di NOI.
Come sempre, siamo stati accolti da Italo con grande apertura umana e politica.
Diversamente dal solito sono finalmente state esplicitate alcune domande che da anni non riuscivo a porre, con una strana, ma consapevole, coscienza dell’irripetibilità dell’occasione.
A tratti, mi pare, siamo riusciti a dire l’indicibile.
L’intervista è in rete.
Seguiranno presentazioni in tutta Italia con l’autoproduzione e la distribuzione mirata dell’intervista.
Riproporremo l’idea il prossimo 26 febbraio 2015 all’Espace Populaire, con lo stesso impianto leggermente rivisitato, con nuovi interventi musicali e video e soprattutto con una nuova regia.
“Si dice che chi ascolta un testimone diventa a sua volta un testimone.”
Così pensava anche Italo Tibaldi.
Ci diceva: “Stateci vicini” con un immediato, discreto, richiamo ai valori in cui hanno creduto e per i quali hanno lottato i deportati e gli oppositori al regime fascinazista: “Giustizia, libertà, amicizia, solidarietà, la cura profonda del prossimo. Non esistono problemi di pelle, esistono soltanto problemi di vita.”
Intervistati “a caldo” Erika, Andrea, Silvia e Francesca hanno restituito l’emozione, la commozione ma anche la lucidità di questo loro percorso umano speculativo per “Collettivamente memoria 2015″.
Erika esprime “Felicità. Siamo felici di aver colpito il pubblico e di aver lasciato un bel ricordo della serata. Soddisfazione personale per essere riusciti a fare qualcosa di interessante.
Per quanto riguarda il Giorno della Memoria nel corso degli anni ho partecipato a eventi organizzati dalla scuola, dalle elementari alle medie e al liceo, e ho visto che questa cosa si è un po’ persa.
Talvolta il Giorno della memoria non è stato neppure accennato.”
Andrea sostiene “la serata è stata interessante.
E’ stata un’occasione per ascoltare delle persone che avevano qualcosa di importante da dire.
Per riflettere su quello che avevo io da dire.
Per il testo, una volta che si è compreso il significato attribuito dall’autore e si padroneggia la lingua, l’interpretazione viene da sé.
Basta leggerlo cercando di rivivere i sentimenti che può aver provato l’autore mentre l’ha scritto.
Credo che questo sia stato interessante.
Ho avuto l’opportunità di collaborare con le mie compagne e siamo stati una squadra molto unita.
E’ stato un lavoro molto intenso perché è stato molto concentrato a livello temporale.
E’ stato piacevole.
A proposito del pathos non sono molto bravo a metterlo nei testi però mi sto impegnando per lavorarci su.”
Silvia, musicista, al basso, ha accompagnato la lettura del testo poetico con un’alternanza di melodie dissonanti e dolci, dichiara:
“E’ stata un’esperienza diversa dalle altre perché non avevo mai accompagnato qualcuno che leggesse un testo soprattutto di questa portata.
E’ stato impegnativo.
Non si trattava accompagnare altri strumenti ma di accompagnare un altro strumento che è la voce. Quindi è stato diverso da tutto ciò che avevo fatto sino ad ora.
E’ stato forse più emozionante di tante altre volte soprattutto sapendo che cosa il testo stava dicendo: un legame molto profondo fra le parole e la musica che non si era forse mai creato prima.
Non so se sia stata fondamentale la mia parte però credo che in qualche modo abbia coronato tutto quello che c’era davanti.
Sono molto soddisfatta. Si può sempre fare di meglio ma sono contenta di come è andata e sono felice di aver partecipato a questa iniziativa.”
Francesca dice “Credo sia stata molto importante la nostra partecipazione anche per dare spazio ai giovani. Perché bisogna ricordare e per ricordare bisogna dare accesso alle nuove generazioni e quindi bisogna anche insegnare il modo di ricordare alle nuove generazioni.
Credo sia stata una bella iniziativa.
Con un po’ di buona volontà si può ricordare in modo diverso e magari un po’ più emozionante dei discorsi.
E’ stato interessante.
Ci sono stati begli spunti di riflessione.
E’ stato interessante, è stato bello.
Ne esco più ricca, più ricca di ragionamenti su cose su cui pensare. Credo sia importante rielaborare in modo diverso, non dire la stessa cosa, ma pensarla in modo diverso.
All’inizio, quando l’ho letto, era un testo ordinario, per quanto possa essere ordinario…
Dopo un po’ però l’ho sentito tanto. Di pancia, proprio. Anche col basso è stato bellissimo.”
Francesca mi ha scelto il 20 marzo 2004.
Eravamo in piazza per una manifestazione per la pace.
Come al solito stavo fotografando.
Francesca, cinque anni e mezzo, mi si è avvicinata e mi ha preso, con determinata dolcezza, la macchina fotografica e ha cominciato a fotografare.
L’ho assecondata e accompagnata in quello che è stato un breve reportage sulla pace – a cura della più piccola fotografa valdostana – pubblicato a due mani (quelle abili di Francesca e le mie) sul numero 48 del 22 aprile 2004 del settimanale “Obiettivo lavoro news” di cui, al tempo, curavo la fotografia.
Undici anni dopo Francesca è stata una protagonista, non casuale, di “Collettivamente memoria 2015″.
Raggiungo telefonicamente Beatrice qualche giorno dopo il 27 gennaio.
Le sue parole riflettono la calma di una riflessione post quem ma l’emozione e la condivisione di quanto è stato sono del tutto analoghe a quelle degli altri quattro suoi giovani compagni di avventura intellettuale.
Beatrice parla a lungo: “A me ha fatto molto effetto devo dire forse l’agitazione di essere protagonista.
Però non so come dire. E’ diverso da quando si vede un film: ti senti più dentro, più coinvolto.
Ed è stato molto forte, soprattutto le parole che sono state dette oltre alla poesia.
E’ come se mi sentissi più direttamente coinvolta.
Io mi sono quasi emozionata sia leggendo la poesia sia sentendo il mio compagno che parlava perché mi sentivo proprio dentro anche se effettivamente, come ha detto Gaudio (Andrea, ndr), non possiamo sentire ciò che hanno sentito coloro che hanno vissuto la storia. Però è stato come essere più vicini, come quasi condividendo una parte di quello che hanno vissuto e sono rimasta davvero destabilizzata da questa cosa perché non mi era mai successo, sebbene molte volte anche a scuola, ci ripropongano certi libri o documentari.
Sono davvero contenta.
Forse sono stata portata a partecipare dal fatto della poesia in greco perché ho molta passione per il greco e la letteratura greca. E quindi prima ancora dell’idea del Giorno della memoria mi è venuto proprio in mente il fatto di poter esprimere qualcosa in greco.
Poi rileggendo a casa tutta la poesia mi sono accorta che quello che sto studiando in questo momento a scuola era come un tutt’uno con quello che ha vissuto tanta altra gente con un avvenimento così importante
Poi andando avanti, continuando a ripetere queste parole in greco, mi rendevo conto che in qualche modo stavo facendo mia la memoria. Era come se dei pezzi dentro di me venissero messi uno sull’altro e ogni volta che ci penso è come se andassi sempre più avanti e mi sentissi sempre più … non so come dire, non pronta, ma nemmeno competente.
E’ proprio un senso di completezza.
Mi sento di poterne parlare sempre di più, sempre meglio con gli altri.
E’ un contributo che io ho dato per aiutare la gente a ricordare ma è anche un contributo che la memoria ha dato a me.
Sembra una cosa strana però è bella.
L’Olocausto – mi tocca profondamente ogni volta che ne sento parlare.
Non ho origini ebree, non ho conosciuto nessuno che ha vissuto in prima persona questa esperienza però sento che dentro di me … non mi capacito a dire il vero … non credo di poter capire come dalla parte dei tedeschi ci si potuta essere tanta violenza, così tanto odio.
Sento di capire un po’ gli Ebrei ma di non poter assolutamente capire i Tedeschi.
Ne parlavo l’altro giorno con una mia compagna – dicevamo – “come è possibile”.
Perché ormai ai tempi nostri non riusciamo neanche più ad immaginare queste idee di fondamento che avevano.
E’ atroce.
Io la trovo una cosa atroce.
Da non dormirci la notte, soprattutto i primi anni in cui mi veniva presentato questo argomento.
Sentendo gli altri mi faccio un’idea diversa e più vera, secondo me, di ciò che è stato anche solo guardando gli occhi si capisce che sono segnati.
D’altra parte sento di non poter capire perché va al di là di qualsiasi concezione che io abbia potuto immaginare mai.
Però si vedo che sono diversi e che non possono essere più uguali.
E’ una cosa … non so come dire … Non deve essere una cosa negativa. Però si vede negli occhi.
Io guardo molto gli occhi delle persone. Di solito capisco degli aspetti delle persone dallo sguardo, dalla luce degli occhi. E hanno qualcosa di uguale ma di diverso da tutti gli altri …
Gli occhi di Italo…
Gli occhi di Ida quando ci ha chiesto che cosa avremmo letto.
Lei ci ha guardato e ci ha detto “Io vi appoggio molto, vi sono molto grata e sono molto contenta che ci sia gente che fa tutto questo per noi.”
Nei suoi occhi c’era ancora un po’ di sconforto ma anche di gioia … di compiacimento.”
Sono riconoscente a questi cinque intellettuali che mi hanno insegnato, come solo i giovani sanno fare, ancora una volta, la voglia di sapere, di comprendere e di portare un contributo personale mettendoci il cuore, la mente, il pathos e … la faccia.
Con “NOI non moriremo in silenzio” di Alessandro, Andrea e della scrivente, siamo riusciti a dire, e forse a restituire, quanto Italo ci ha chiesto quel 17 febbraio 2010:
“Abbi il coraggio di dire, un giorno o l’altro, che (ndr) hanno vinto i superstiti, hanno vinto i deportati, anche quelli che non ci sono più.
Vinceremo anche noi!”
Silvia Berruto, giornalista contro il razzismo, antifascista.
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