(Italiano) il Culto Del Duce E L’arte Del Consenso. Studio Preparatorio Per Una Mostra Improbabile. Parte Seconda

ORIGINAL LANGUAGES, 11 Jul 2016

Silvia Berruto – TRANSCEND Media Service

ITALY, LOMBARDIA, GARDASEE, SALO’

“Ognuno vede ciò che sa”

La LEGGE 20 giugno 1952, n. 645 (Legge SCELBA)
Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione. (GU n.143 del 23-6-1952 )
recita all’ Art. 1. (Riorganizzazione del disciolto partito fascista)
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle liberta’ garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attivita’ alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista)).

e

all’ Art. 4. (Apologia del fascismo)
Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 e’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila. Alla stessa pena soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche, ovvero idee o metodi razzisti. La pena e’ della reclusione da due a cinque anni e della multa da cinquecentomila a due milioni di lire se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti e’ commesso con il mezzo della stampa. La condanna comporta la privazione dei diritti previsti nell’articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale, per un periodo di cinque anni)

e la

LEGGE 205/1993 del 25 giugno 1993, n. 205 – (Legge MANCINO)
All’articolo 2:
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.”

e

la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, nel testo vigente del 1 gennaio 1948:
“E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.”

Ora, se la ripetizione per 53 volte del soggetto Mussolini, non è esaltazione di un esponente del fascismo, ancorché indiretta, che cosa è, come si configura, che cosa produce nel visitatore dell’esposizione, di cui sopra, a livello subliminale?
Se non è un’esaltazione di Mussolini si tratta di un’ossessione ben riuscita, anche un po’ fetish, con un esito di pura autoreferenzialità.

A partire dell’assunto, già citato, secondo il quale un’immagine afferma se stessa, la “mostra” così esibita pone diversi interrogativi.

Una prima riflessione, dal basso, riguarda i contribuenti: le cittadine e i cittadini di Salò che, con le loro tasse, provvedono al mantenimento del museo.
La cittadinanza non avrebbe avuto il diritto di avere, e forse avrebbe dovuto esigere, per una mostra che si possa definire tale, un progetto scientifico, verificato e supervisionato da un comitato scientifico adeguato, che tutelasse le condizioni minime per la realizzazione di un’operazione espositiva di livello culturale anche minore, di taglio anche non artistico, a-storico e/o antistorico, qual è, in definitiva, questa operazione che ho definito studio preparatorio per una mostra?

In merito all’apparato “catalografico” sono due i volumi disponibili in mostra alla “mostra”.
Il primo è un libello, non un catalogo, anzi un quaderno del museo, intitolato Il lungo viaggio attraverso il fascismo/1 per la vision secondo Giordano Bruno Guerri de “IL CULTO DEL DUCE (1922-1945) L’arte del consenso nei busti e nelle raffigurazioni di Benito Mussolini”.
All’interno si legge “Per il prestito delle opere si ringraziano: Giuseppe Balestrieri, Massimo Meroni e Massimiliano Vittori.
E’ una monografia di 28 pagine curata da GBG con testo su “Il culto del duce” (7 pagine) con alcune riproduzioni delle opere esposte (21 pagine).

Il secondo, (era) esposto alla cassa, è DVX l’arte del consenso di Massimo Meroni.
Finito di stampare il giorno 12 aprile dell’anno 2016 presso la tipografia per conto di Novecento editoria d’arte – Latina.
Una monografia di 200 pagine con presentazione di Massimo Meroni, iI mito del Duce di Giuseppe Parlato, Predappio e Mussolini di Giorgio Frassineti, sculture, placche-medaglie-rilievi, dipinti-disegni-stampe, il museo.
(Il museo è quello di Predappio, nda).

Questi due lavori sono ciò che di più lontano si possa trovare rispetto ai prestigiosi cataloghi d’arte internazionali noti a chi frequenta vere mostre d’arte. Ne cito alcuni d’affezione: FMR (Franco Maria Ricci), Allemandi (Torino), Skirà (Milano), Fratelli Alinari, Fondation Pierre Gianadda (Martigny, Svizzera).

Il coraggio, se di questo si può parlare e, se di questo si fosse trattato – la notazione è indirizzata al sindaco di Salò Giampiero Cipani – sarebbe stato produrre un catalogo integrale, comprendente entrambe le “mostre”: quella permanente sulla Rsi e quella sul culto del duce – in modo tale da posizionare davvero il MuSa in un panorama critico realmente internazionale.

Se le pubblicazioni per la “mostra” non rappresentano direttamente l’esaltazione del duce sono inequivocabilmente gli strumenti di diffusione dell’effige del s-oggetto, solo casualmente filo-fascisteggiante e fascista, Mussolini Benito.

A 42 giorni dall’inaugurazione dell’esposizione restano solo due i documenti emanati dall’ANPI (associazione nazionale Partigiani d’Italia) locale e provinciale: un’intervista a Paolo Canipari, presidente della sezione ANPI “Italo Nicoletto di Salò, pubblicata da Garda Press di giugno e una lettera aperta, segnalata e acclusa nella prima parte di questo articolo, inviata dal comitato provinciale di Brescia.
Un terzo documento è la lettera aperta, a firma della segreteria provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di lunedì 23 maggio 2016.

Le ragioni di un silenzio, così assordante, potrebbero forse essere relate ad uno degli aspetti nodali del problema riconducibile al non superamento dell’ambiguità, insita nel termine “riorganizzazione” che dovrebbe essere riferito correttamente a qualcosa che è estinto, finito, concluso, non come invece sembrerebbe nella realtà e al cospetto di alcuni accadimenti.

L’irricevibilità culturale, civile e politica di alcune mostre, di alcuni raduni, di alcune proposte pseudoculturali sul territorio, perlomeno discutibili quando non esecrabili, ha creato disappunto e dissenso e ha prodotto una sana controinformazione in progress.

C’è fermento in zona.

Azioni e manifestazioni antagoniste alternative a questo status quo sono in agenda.
Un primo volantino, pronto all’uso, era già stato stilato un mese fa dal partigiano Loris Abbiati, un uomo uso all’azione, dopo l’analisi e l’elaborazione di una strategia. Questa proposta, una delle tante, ha dovuto fare i conti con alcune inspiegabili “controresistenze” e prese di tempo inefficaci, e inefficienti, che hanno avuto l’effetto di rallentare risposte già elaborate e pronte per agire l’informazione allargata.
Le azioni progettate dalla controinformazione devono altresì fare i conti con l’evidente impossibilità da parte della minoranza del consiglio di amministrazione del museo di contrastare culturalmente, e nei fatti, i contenuti, l’assenza di scientificità, le scelte espositive delle “mostre” sul culto del duce e sulla Rsi di Roberto Chiarini.

Qualsiasi operazione di presunta, apparente o reale neutralizzazione, quando non di confusione, circa i contenuti, anche didattici, da inserire in una mostra, sarebbe da evitare poiché non è utile né ai discenti di tutte le età, potenziali o reali frequentatori di “mostre” non surrettizie, né agli ispiratori e/o ai mecenati, né agli storici “creativi”, improbabili, e/o verosimili rovescisti e/o negazionisti che siano.
La “mostra” sulla Rsi, secondo il parere di molti, non solo non deve essere integrata, corretta e/o “reimpolpata”, come rilanciato da qualcuno, ma insieme alla mostra sul culto del duce, deve essere smantellata, per essere semmai ripensata, ricordata e archiviata come un tentativo di studio preparatorio per eventuali progetti espositivi.

Chi non ha potuto partecipare all’inaugurazione della mostra, avvenuta ad inviti, non sa quanto è stato detto dai due relatori, anche perché nessun report o articolo pubblicato è esaustivo, a questo proposito.

Lo speech di introduzione alla mostra, a quattro mani, a cura del sindaco e del curatore della mostra, della durata di una quindicina di minuti circa, ha avuto come cifra distintiva più che l’illustrazione della mostra, evasa dal curatore nei cinque minuti finali, una perorazione-apologia della mostra, un’excusatio non petita, piuttosto imbarazzante per la genericità e per la vaghezza dei contenuti, pur nel rispetto dei rituali dovuti ringraziamenti agli amici e ai sostenitori dell’operazione, non è risultato convincente, ancorché verosimile.
Dalle parole del sindaco Cipani “perché poi alla fine tutti quanti riconosceranno il valore culturale, storico, scientifico di questa iniziativa” alla soddisfazione per l’andamento dei visitatori della mostra “Da Giotto a De Chirico. I tesori nascosti, al crescente dinamismo, per numeri e per attività, dell’associazione Garda Musei e relativa citazione con ringraziamenti al Professor Rodolfo Bona, agli eventuali costi “zero” della mostra (non quella in inaugurazione ma quella di Vittorio Sgarbi), all’autoreferenziale citazione del ricevimento del premio Rosa Camuna, all’impatto e al ritorno sul territorio di un investimento economico in cultura sino ad un misto di affermazioni e generalizzazioni varie nelle parole del curatore della mostra, con la dichiarazione cult con cui chiudo un elenco di parole senza molto senso: “Abbiamo cominciato con il culto del duce perché è basilare per capire il fascismo. Se non si capisce il fascismo è anche molto difficile capire ed applicare l’antifascismo”.

Il tutto si svolge in un contesto culturale e territoriale off-limits, in una specie di terra di nessuno, sullo sfondo di scenari fatti di esposizioni, raduni, patrocini concessi e poi revocati, connotati per analoghi inquietanti assenze di contenuti e di prerequisiti oltreché per esiti di “non disambiguazione”, si direbbe in rete.

Estrapolo e cito alcuni eventi.

A Salò, in contemporanea alla mostra su “il culto del duce”, si tiene una mostra dal titolo “La Repubblica a Salò, i 7 mila e 600 giorni di Mussolini, organizzata dal movimento salodiano indipendente (msi) e l’associazione Catarsi.

A Brescia sarebbe stato revocato il patrocinio del comune per il concorso Piccola Caprera “L’amor di Patria”.

A Brescia la proposta di eseguire in Largo Formentone, in piazza Rovetta, un murale con l’effigie del duce e il Bigio ha scatenato indignazione, dissensi e rimostranze.

A Torri del Benaco, sempre sul lago di Garda, nel primo weekend di luglio si è svolto il Boreal Festival, raduno dell’estrema destra europea, per l’organizzazione del quale l’associazione culturale “The Firm” avrebbe ottenuto, oltre alla concessione di spazi e strutture, il  patrocinio del comune.

In una Lombardia che “si è progressivamente collocata a livello europeo come meta di incontri, raduni e concerti di ispirazione neonazista” e in un’Italia in cui “si è formalmente ricostituita Avanguardia nazionale, l’organizzazione neofascista e golpista sciolta d’autorità nel giugno del 1976 dopo una sentenza del Tribunale di Roma che condannò, in base alla legge Scelba, trentuno dei suoi aderenti per ricostituzione del partito fascista” come afferma Saverio Ferrari su Il Manifesto, rispettivamente del 27 maggio e dell’8 luglio 2016.

Di fronte a quanto appena segnalato, manifestare e agire il DISSENSO è sempre più un dovere umano, culturale, civile e politico per chi non è distratto dalla libertà: un imperativo categorico, un impegno necessario e irrinunciabile.

In direzione ostinata e contraria, per quel “per tutti” che ci hanno insegnato con il loro impegno di lotta resistenziale e resistente prima, con le loro esistenze poi, staffette e partigiani tra i quali cito l’amica e maestra la staffetta partigiana Anna Cisero Dati e l’amico e maestro, il partigiano Orlando Bee.

Orlando ha sempre affermato, con determinazione: “tutti devono poter esprimere sempre il proprio pensiero e bisogna ascoltare tutti senza pregiudizi e censure preventive”.

Anna dice della sua lotta partigiana:
“Noi abbiamo lottato per i nostri compagni, per quelli che sarebbero venuti e anche per chi non la pensava come noi.”

Per “Resistere, per esistere” come insegna Elsa Pelizzari.

Per imparare a DIRE NO, come ha insegnato Agape Nulli Quilleri che si era rifiutata di fare il saluto fascista al preside della sua scuola che le intimava di obbedire.

O come ricorda Aldo Giacomini a tutte e a tutti, ma specialmente ai giovani, che “LA LIBERTA’ COSTA CARA MOLTO. Tenetela da conto!

Mi piace chiudere questo pezzo con Italo Calvino e le parole del commissario politico Kim nello struggente, lucido, passaggio della visita al distaccamento “tutto di uomini poco fidati” estratte dal già citato romanzo Il sentiero dei nidi di ragno:

C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra.
Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si ritornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redircemene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali.

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Silvia Berruto, giornalista contro il razzismo

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