Ecco che in mezzo al deserto di mezzodì cittadino ho avvistato una stazione di servizio aperta: le fluttua intorno uno sciame di macchine. Non c’è personale; è uno di quei distributori che funzionano a self service. Gli automobilisti si danno da fare sguainando le canne cromate delle pompe, si fermano a metà di un gesto per leggere le istruzioni, mani un po’ incerte premono tasti, serpenti di gomma inarcano le loro spire retrattili. Le mie mani armeggiano attorno a una pompa, le mie mani cresciute in un’epoca di transizione, abituate ad aspettare da altre mani il compiersi dei gesti più indispensabili alla mia sopravvivenza.
Che questo stato di cose non fosse definitivo l’ho sempre saputo, in teoria; in teoria le mie mani non aspettano altro che riacquistare la loro attitudine a compiere tutte le opere manuali dell’uomo come quando la natura inclemente circondava l’uomo armato delle sole sue mani, così come oggi ci circonda il mondo meccanico certo più agevole a manipolarsi della bruta natura:
il mondo in cui d’ora in avanti le mani di ciascuno dovranno tornare a cavarsela da sole, senza poter più demandare a mani altrui il lavoro meccanico da cui dipende la vita di ogni giorno.
Italo Calvino, La pompa di benzina
Se il commercio delle spezie ha un equivalente del ventesimo secolo, può essere solo l’industria petrolifera.
Nel suo valore economico e strategico, così come nella sua capacità di generare ambiti politici, militari e culturali di vasta portata, il petrolio è chiaramente l’unica merce che può servire da analogia per il pepe.
Amitav Ghosh, Petrofiction. The Oil Encounter and the novel, 1992
Il boom dell’Information Technology
– Negli ultimi mesi le restrizioni alla circolazione e ai contatti interpersonali, la chiusura di attività commerciali, uffici e scuole nel tentativo di frenare il dilagare della pandemia da COVID-19 ha spinto un numero crescente di persone ad aumentare (o attivare) modalità di relazione in remoto. Si sono moltiplicate in tutto il mondo le comunicazioni ‘virtuali’, dalla posta elettronica alle riunioni su piattaforma digitale, dalla lettura di documenti online alla visione di film in streaming.
Navigando su internet si possono leggere molti commenti e osservazioni su questo tema: per lo più si tratta di commenti positivi, che sottolineano soprattutto i vantaggi che queste nuove tecnologie offrono nel mondo dell’industria e del lavoro.
- Nel dramma della pandemia di Covid-19 c’è anche una nota positiva: l’educazione a nuove tecnologie nelle persone e imprese che fino a ieri erano le più refrattarie al loro utilizzo. Così, molte delle cose che fino a ieri si facevano offline oggi si fanno in modalità online, ovvero da remoto.
- Le 25 principali software e web company, che nel quinquennio 2015-2019 hanno più che raddoppiato il fatturato aggregato, sono riuscite a registrare una crescita dei ricavi a doppia cifra anche nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria.
- L’industria della tecnologia dell’informazione sta vivendo un boom come mai prima d’ora e sempre più marchi stanno cercando di espandersi in questo settore a causa dell’immenso potenziale.
Internet ‘essenziale’ per l’Agenda 2030
Tra i traguardi da conseguire, l’Agenda 2030 per lo ‘sviluppo sostenibile segnala il ‘goal 17’, relativo all’opportunità di costruire collaborazioni (‘partnerships’), e afferma: Internet è ormai essenziale per molte attività quotidiane, ma metà della popolazione mondiale non è ancora connessa. Durante ilockdown imposti per arginare il coronavirus, molte persone sono costrette a fare affidamento a Internet per le attività quotidiane, tra cui lavorare da casa, prendere lezioni online, fare acquisti e socializzare.Tuttavia – viene fatto notare – quasi metà della popolazione mondiale non è connessa: alle fine del 2019 Internet viene usato dal 53,6 % della popolazione mondiale (4,1 miliardi), e sono presenti grandi disparità tra zone diverse. Per esempio, solo il 26% usa Internet nell’Africa sub-sahariana, a fronte dell’84% in Europa. Quindi tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 vi è quello di aumentare le possibilità di connessione, estendendole a tutta la popolazione mondiale.
Soluzioni digitali per le biblioteche
Tra le attività che hanno registrato uno straordinario aumento dell’uso delle tecnologie digitali vi è anche quella della cultura, dello svago, dell’intrattenimento: mentre chiudevano sale cinematografiche, teatri, musei e biblioteche aumentava l’offerta – e la fruizione – di film, documentari, videogame, anche grazie alle sempre più favorevoli condizioni di utilizzo (varietà dei prodotti offerti, velocità di acquisizione dei dati).
Anche nel mondo della cultura vengono espressi commenti positivi sull’utilizzo delle relazioni ‘da remoto’, come nell’articolo – pubblicato in questi giorni – a proposito delle biblioteche pubbliche. Ecco che cosa scrive Maria Stella Rasetti, direttrice delle biblioteche e archivi della città di Pistoia:
Un nuovo slancio è stato dato ai servizi digitali, che da marzo in poi hanno rappresentato la risposta più resiliente delle biblioteche alla chiusura totale: eventi, incontri e presentazioni di libri trasmessi su varie piattaforme di videoconferenza, su YouTube o via Facebook, servizi potenziati di assistenza telefonica (spesso gestiti in smartworking), e accessi moltiplicati alle piattaforme di prestito digitale, per la consultazione di giornali e banche dati, la lettura di e-book, l’ascolto di musica e la fruizione di film.
E prosegue, osservando che nel primo lockdown gli indici di accesso a queste piattaforme sono schizzati verso l’alto, facendo registrare indici di crescita anche del 600-700%, rappresentando una risposta efficacissima, sia pure non ancora alla portata di tutti, rispetto ai bisogni di lettura. Sono proprio di questi giorni i nuovi investimenti di molte biblioteche sull’acquisto di nuovi accessi e download da mettere a disposizione gratuita dei propri frequentatori. Le biblioteche saranno fisicamente chiuse, dunque, ma saranno accessibili in tante modalità alternative.
‘Surplus cognitivo’: creatività e partecipazione in un mondo interconnesso?
Clay Shirky, in un libro pubblicato nel 2010, richiamò l’attenzione dei lettori sul fatto che gli abitanti dei paesi industrializzati godono di una grande quantità di tempo libero. Lo chiamò ‘cognitive surplus’, e ipotizzò che questa abbondanza di tempo libero costituisse una risorsa collettiva che la società avrebbe potuto utilizzare in modo positivo ed efficace.
Già nel 2009 una relazione pubblicata dal Council for Research Excellence and Ball State University segnalava che negli Stati Uniti gli adulti erano esposti ai media per più di 8,7 ore al giorno, di cui 5,8 ore di televisione. Ebbene, Shirky avanzò l’idea che – liberandosi dall’abitudine della TV – le persone avrebbero potuto non solo approfondire hobby personali (scrivere un libro, coltivare l’orto, imparare uno strumento musicale), ma anche svolgere molte attività collettive.
A suo parere, inoltre, proprio grazie al prodigioso sviluppo del World Wide Web diventava possibile organizzare forme di attività culturali con una modalità ‘partecipativa’ che apriva nuove e interessanti opportunità: Lo sfruttamento del nostro surplus cognitivo consente alle persone di comportarsi in modi sempre più generosi, pubblici e sociali… La materia prima di questo cambiamento è il tempo libero a nostra disposizione, tempo che possiamo dedicare a progetti che spaziano dal divertente al culturalmente trasformativo. Se il tempo libero fosse tutto ciò che era necessario, tuttavia, i cambiamenti attuali sarebbero avvenuti mezzo secolo fa. Ora abbiamo gli strumenti a nostra disposizione e le nuove opportunità che offrono…
Surplus cognitivo e combustibili fossili
Due studiosi americani, Tomlison e Siberman, nel 2012 riprendono le idee di Shirky osservando:
Questo tempo libero, tuttavia, non è del tutto libero. Sia il tempo libero che costituisce la “materia prima” del surplus cognitivo, sia le tecnologie e le pratiche di coordinamento che consentono di trattarlo come una risorsa unica dipendono da enormi infrastrutture tecnologiche. Queste infrastrutture sono in gran parte alimentate da combustibili fossili. In sostanza, il surplus cognitivo è costituito da combustibili fossili.
Il surplus cognitivo, infatti, deriva dalla trasformazione di molti processi di produzione da lavoro umano ad alta intensità a lavoro-macchina ad alta intensità. Quando le persone guardano la TV o navigano su internet non fanno molte altre cose: non coltivano, non tessono, non trasportano l’acqua dal pozzo. Quel lavoro viene svolto principalmente dalle macchine. E i combustibili fossili alimentano la maggior parte di quelle macchine. In altre parole, il tempo libero che abbiamo è fortemente sovvenzionato da petrolio, carbone e gas naturale. Ma questa sovvenzione rimane in gran parte nascosta ai residenti del mondo industriale: un “sovraccarico ambientale” con costi ambientali pervasivi che circondano quasi tutto ciò che facciamo… quello che alcuni economisti continuano a collocare tra le ‘esternalità’.
Tomlison e Sieberman pubblicano le loro osservazioni nel 2012, e scrivono: Se ti interessa affrontare adesso un problema particolare, e non ti interessa se ti affidi a sistemi che potrebbero creare altri problemi, va bene costruire un sistema che si basi sull’uso continuo del surplus cognitivo o sui combustibili fossiliin generale.Se tuttavia vuoi affrontare un problema a lungo termine, tieni presente che il surplus cognitivo potrebbe non essere sempre presente, perché si basa sui combustibili fossili. Inoltre, se vuoi affrontare il problema a cui tieni senza contribuire alla creazione o all’espansione di altri problemi, ricorda che il surplus cognitivo non è “gratuito”.
Il consumo vince sull’efficienza
In effetti, soprattutto negli ultimi anni la consapevolezza dei limiti biofisici del pianeta è aumentata, e sono cresciuti i dubbi sulla ‘gratuità’ ambientale delle tecnologie informatiche per la comunicazione (ICT= Information and communication technology); sono state prese molte iniziative per orientare le società umane a ridurre la loro impronta ecologica, ma il bilancio è ancora lontano dall’essere positivo. E l’industria ICT contribuisce sempre più a erodere le basi stesse della nostra sopravvivenza: come risulta da un recente articolo di Lange et al. (2020), complessivamente il consumo di energia cresce in modo significativo a causa dell’aumento della domanda nel settore dell’ICT : la digitalizzazione non è in grado di ‘dematerializzare’ le proprie infrastrutture, né di compensare l’impatto della crescita economica .
Ci vuole un cambiamento concettuale?
Dunque, se la via della digitalizzazione non è (almeno per ora) una soluzione ‘sostenibile’ per soddisfare i nostri bisogni cognitivi, come dovremmo comportarci
Nella situazione in cui l’umanità si trova oggi – in un periodo che è stato definito ‘Antropocene’ per indicare la vastità e l’intensità delle trasformazioni provocate dall’impatto antropico sul pianeta – è importante che ciascuno di noi faccia un salto concettuale, e interiorizzi l’idea che, anche se i nostri singoli comportamenti non sono in grado di spostare equilibri planetari, la somma delle nostre azioni, e delle scelte collettive che compiamo, stanno portando la Terra verso una situazione nuova, alla quale l’umanità farà fatica ad adattarsi. Nella moderna società tecnologica, infatti, non esiste alcuna produzione “carbon-free”, e ci mancano ancora l’immaginazione e la creatività necessarie per elaborare una narrativa diversa dalla ‘petrofiction’ citata da Amitav Ghosh.
Per mettere in atto il cambiamento concettuale che sarebbe necessario per agire in modo più sostenibile non bastano i dati che da più di trent’anni vengono forniti dal mondo scientifico, né le testimonianze delle comunità che sono ormai vittime dei cambiamenti climatici. Il cinema è stato più volte chiamato in causa, come potente strumento in grado di esprimere con le immagini l’esperienza traumatica della crisi di relazione tra l’umanità e la natura. L’’eco-trauma cinema’, secondo Anil Narine (2015) consente di narrare l’”indicibile”, e di rappresentare le ferite, i danni che noi umani infliggiamo agli ambienti circostanti, oppure i traumi di cui siamo vittime quando la natura reagisce in modo catastrofico
Tra i numerosi film e documentari che di recente sono stati prodotti su questo filone, alcuni hanno tentato di colmare il vuoto di immaginazione che ci deriva dall’incapacità di riflettere su scale spaziali e temporali lontane dalla nostra percezione – le dimensioni, appunto, del nostro pianeta.
Sequenze temporali di immagini, modellizzazione al computer, immagini via satellite, insieme a inquadrature a campi lunghi e particolari montaggi, sono diventate necessità virtuali per rappresentare le scale planetarie delle trasformazioni.
Kyle Stine, in un articolo del 2018, fa l’esempio di un documentario che è diventato molto famoso, Chasing ice (Jeff Orlowsky, 2012), sottolineando le potenzialità della prospettiva cinematografica nel tentativo di rendere intellegibili i sistemi interconnessi che influenzano i cambiamenti climatici in atto.
httpv://www.youtube.com/watch?v=c-hvbvPMyjg&feature=emb_logo
Nella recensione di Marco Chiani per Mymovies si legge:
Chasing Ice si focalizza sul dibattito troppo spesso sopito intorno al riscaldamento globale…
Universo illimitato di forme, il ghiaccio riempie il quadro di immagini straordinarie, dettagli o campi lunghissimi di una materia che nasconde una storia e mette in guardia sul futuro: sono proprio i ghiacciai, del resto, i segnali più evidenti dell’imminente disastro…
La sfida di Balog, sottolinea Orlowski con il suo lungometraggio, investe un problema di così vasta portata da inchiodare ognuno di noi a tenere un comportamento più sostenibile.
Tuttavia – osserva Stine – è evidente un paradosso. Per sviluppare la nostra consapevolezza planetaria si fa sempre più ricorso a mezzi che hanno un impatto ambientale molto elevato: le tecniche sofisticate volte a colmare un ‘gap dell’immaginazione’, e a facilitare la nostra capacità di ragionare su scale spaziali e temporali più ampie, si basano principalmente su una vasta rete di industrie specializzate e di sistemi di trasporto e comunicazione che emettono emissioni e rifiuti responsabili del cambiamento climatico.
Una visita al sito del progetto Extreme IceSurvey (EIS) da cui è nato il documentario sopra citato può offrire un’idea del dispiegamento di mezzi che è stato messo in campo.
Verso la sobrietà digitale
Per rispettare gli impegni internazionali sul clima, come gli Accordi di Parigi, che mirano a garantire la sopravvivenza dei nostri socio-eco-sistemi, occorre ridurre drasticamente il nostro consumo di energia e le emissioni di gas serra associati.
Nel nostro mondo, biofisicamente limitato, è quindi importante ricordare che ogni trasformazione fisica e quindi ogni nostra attività richiede energia, compresa quella di invio, elaborazione o archiviazione di informazioni.
E ovviamente quella di produrre l’attrezzatura che lo consente.
Un interessante progetto francese, The Shift Project, introduce il concetto di ‘sobrietà digitale’. La realizzazione concreta della sobrietà digitale richiede non solo l’impegno personale, ma anche la comprensione di come le nostre scelte tecnologiche implicano scelte collettive, visioni condivise della società. La scelta di infrastrutture e tecnologie correlate promuove, e spesso condiziona, una certa tipologia di utilizzi, siano essi già esistenti o emergenti.
Per tornare all’esempio della produzione cinematografica, la scelta di potenziare la disponibilità di nuovi film sulle piattaforme digitali (su cui in questo periodo di parziale lockdown alcune società produttrici puntano molto), associata all’installazione (autorizzata dai responsabili pubblici) di infrastrutture che consentono di rendere più veloce il flusso di informazioni, induce il pubblico a comportamenti che favoriscono l’aumento dei consumi energetici e la produzione di gas serra.
Per invertire questa tendenza occorre una scelta consapevole di sobrietà, da parte delle persone e delle istituzioni…
La tecnologia digitale è quindi uno strumento ambivalente nella sfida per la transizione verso la ‘decarbonizzazione’. Le opportunità che offre sono reali, ma è soggetta agli stessi vincoli del resto dei nostri sistemi. è quindi nostra responsabilità (individuale e collettiva) decidere quali usi della tecnologia informatica, e quali infrastrutture digitali scegliere per garantirne la resilienza e la sostenibilità.
Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero;
e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c’è tra seme e albero.Mohandas Karamchand Gandhi