(Italiano) Estratto del Rapporto OXFAM sul 2020

ORIGINAL LANGUAGES, 15 Feb 2021

Miki Lanza | Centro Studi Sereno Regis - TRANSCEND Media Service

Foto di Emanuel Leanza | Fonte Flickr, CC BY 2.0

Nota del curatore- traduttore

8 Febbraio 2021 – Il seguente è un mio compendio arbitrario del recentissimo Rapporto OXFAM 2020 – 82 pagine – sull’andamento essenzialmente economico del mondo, dominato dallo sconvolgimento indotto dalla pandemia Covid-19. Ho tentato di trattenere e trasmettere il nucleo presunto del denso messaggio: ricco di indicazioni, necessariamente eterogenee ed esplicitamente ordinate secondo la mission dell’ente, teso alla sensibilizzazione di dinamiche distorte, ritenute evitabili, innaturali e correggibili con comportamenti basati sull’accorato convincimento di ragionevolezza delle soluzioni immaginate/proposte/attuate sperimentalmente, e quindi di possibile e doverosa estensione. Se ne ho colto l’essenza, non lamento le apparenti ingenuità e omissioni ma credo possa essere un utile apporto per integrare l’elemento mancante: la gestione del rifiuto della benevolenza aldilà della stessa evidente convenienza di un pensiero e conseguente comportamento non programmaticamente egoista. Nonostante prove inequivocabili di fallimento dell’hybris moderna/occidentale imperversata per almeno 5 secoli, e suggestive analogie fra la situazione attuale dopo l’evento d’innesco Covid-19 e la 1a guerra mondiale & pandemia ‘spagnola’ con annesso nihilismo straripante per il quarto di secolo successivo. Si rinnova la solita scommessa pascaliana drammaticamente attualizzata dalle tensioni collasso autolesionistico di un altro impero-estinzione umana, nonviolenza-metodo Auschwitz/Nagasaki, fratellanza-postumanesimo,; ma forse doglie pre-parto dall’inferno pluripandemico “mors tua vita mea” a un’aurora postvirale collaborativa già allusa nella prevalenza, pur lenta e precaria, dei teneri mammiferi sui corazzati dinosauri.   Buona lettura! Miki Lanza

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Il consueto rapporto edito in corrispondenza con il Forum Economico Mondiale di Davos, CH (quest’anno virtuale) sottolinea l’effetto delle politiche attuate in risposta all’emergenza della pandemia Covid-19: la disuguaglianza – di risorse, genere e identità etno-culturale – in aumento simultaneo e dirompente in ogni paese per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni statistiche; uno shock che peraltro ha colpito un mondo già profondamente ineguale – un evento-innesco di più emergenze, certe e probabili. La crisi ha evidenziato la nostra fragilità collettiva e l’incapacità della nostra economia profondamente ineguale di lavorare per tutti; e però anche l’importanza vitale dell’azione governativa per proteggere la nostra salute e i nostri mezzi di sostentamento. E ha stimolato la consapevolezza di una maggioranza di volere un mondo ben differente, un futuro che dipende dalle scelte che si van facendo ora. La disuguaglianza non è inevitabile, è domabile con politiche trasformative che ancora un anno fa sembravano inimmaginabili e si mostrano ora invece possibili, anzi necessarie per ricomporre un mondo sconvolto mediante un’economia equa e sostenibile voluta con urgenza e attuata con perseveranza dai cittadini e dai governi.

Il virus ha colpito un mondo già profondamente ineguale

La crisi Covid-19 imperversa in un mondo già estremamente ineguale. Dove circa 2.300 miliardari hanno più ricchezza ($11.950 bln) di quanta ne potrebbero spendere in mille vite; dove quasi mezza umanità è costretta ad arrancare con meno di $5,50 al giorno; dove per 40 anni l’1% più ricco ha guadagnato oltre il doppio del reddito e per i 25 anni scorsi ha consumato il doppio di carbonio di tutta la metà più povera della popolazione globale, inducendo la distruzione climatica ; dove il crescente divario fra ricchi e poveri si è fondato su disuguaglianze antiche di genere e razza, esacerbandole.

Tale disuguaglianza è il prodotto di un sistema economico bacato e sfruttatorio, radicato nel neoliberismo e nella cattura della politica da parte delle élite. Ha sfruttato e esasperato sistemi ingessati di disuguaglianza e oppressione – il patriarcato e il razzismo strutturale, ingranato nella supremazia bianca – cause prime di ingiustizia e povertà; sistemi che generano enormi profitti accumulati in mano a un’élite patriarcale bianca sfruttando gente che vive in povertà, donne e comunità etnoculturali [razzializzate] storicamente emarginate ed oppresse qua e là nel mondo.

Disuguaglianza vuol dire che più persone sono malate, meno sono istruite e meno vivono vite felici, degne. Ciò ci avvelena la politica, inducendo estremismo e razzismo; mina la lotta per por fine alla povertà. E lascia molti di più a vivere nella paura e molti di meno nella speranza.

Fin dall’inizio del 21° secolo la concentrazione al vertice della ricchezza è venuta costantemente aumentando. Il numero totale dei miliardari è quasi raddoppiato nei 10 anni successivi alla crisi finanziaria, e nel 2017-18 ogni due giorni c’era un nuovo miliardario. Questo iato crescente fra i più ricchi e i restanti è stato in parte alimentato da livelli alti e persistenti di disuguaglianza nei redditi. Nel 2015 quasi tutta la popolazione mondiale viveva in paesi dove la disuguaglianza di reddito era aumentata durante i 25 anni precedenti. Il World Inequality Lab ha mostrato che fra il 1980 e il 2016 l’1% più ricco ha percepito 27% di ogni segmento di crescita nel reddito globale, oltre il doppio della quota toccata al 50% più povero.

Tale estrema disuguaglianza vuol dire che miliardi di persone vivevano già al limite all’irrompere della pandemia: non avevano risorse o sostegni per superare la bufera economica e sociale creatasi; oltre tre miliardi di persone non avevano accesso ad alcuna assistenza sanitaria, tre quarti dei lavoratori non avevano accesso alla protezione sociale come indennità di disoccupazione o di malattia, e nei paesi a basso o medio-basso reddito oltre metà dei lavoratori erano in condizione di povertà pur lavorando.

Il virus della disuguaglianza

La storia ricorderà la pandemia Covid-19 per la morte di oltre due milioni di persone e le centinaia di milioni sprofondate nella povertà e indigenza – mentre i più ricchi, individui e megaziende, prosperano.

Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici (OECD) hanno espresso tutti gran preoccupazione e timore che la pandemia esalti la disuguaglianza in tutto il mondo, con effetti estremamente nocivi ed enormi costi umani:

’L’impatto sarà profondo […] con ulteriori disuguaglianze foriere di sommovimenti economici e sociali: una generazione perduta per questo decennio con effetti sensibili per decenni a venire’. – Kristalina Georgieva, Direttrice Esec. del IMF

Previsione confermata dallo studio Oxfam da parte di 295 economisti di 79 paesi, fra i quali eminenti studiosi globali come Jayati Ghosh, Jeffrey Sachs e Gabriel Zucman. 87% degli intervistati di 77 dei 79 paesi si aspetta(va) un aumento da medio a forte nelle disuguaglianze di reddito nel proprio paese per effetto della pandemia. Oltre la metà di essi pensa(va) piuttosto/molto probabile un aumento delle disuguaglianze fra i generi, e oltre due terzi altrettanto per quelle razziali. I due terzi pensa(va)no inoltre che il proprio governo non avesse/abbia un piano pronto per combattere tali disuguaglianze. Che rischiano di sopraffare:

  • Le fortune dei 1.000 super-miliardari sono tornate alle punte pre-pandemia in appena nove mesi, aumentando di 3.900.000 milioni di $, dei quali 540.000 incettati dai soli primi 10; mentre per ristabilire il livello di reddito dei più poveri può volerci almeno un decennio (14 volte tanto) .
  • L’aumento di ricchezza per i 10 maggiori super-miliardari è più che sufficiente per impedire a chiunque sulla Terra di cadere nell’indigenza, e per pagare un vaccino anti-Covid-19 a ciascuno.
  • Globalmente, le donne sono sovrarappresentate nei settori economici più colpiti.  Se le donne lo fossero secondo lo stesso tasso maschile, 112 milioni di esse non rischierebbero di perdere il proprio reddito o lavoro.
  • In Brasile, gli afrodiscendenti hanno avuto 40% di probabilità in più di morire di Covid-19 che i bianchi. Se il loro tasso di mortalità fosse lo stesso dei brasiliani bianchi, a giugno 2020 sarebbero stati vivi oltre 9.200 afrodiscendenti in più. Negli USA, neri e latinos hanno più probabilità di morire di Covid-19 che i bianchi, tale per cui se avessero lo stesso tasso di mortalità dei bianchi, a dicembre 2020 sarebbero stati vivi quasi 22.000 latinos e neri in più.
  • La Banca Mondiale ha calcolato che se si agisse adesso per ridurre la disuguaglianza, la povertà potrebbe tornare ai livelli pre-crisi in tre anni anziché almeno dieci.

Dall’inizio della pandemia, dunque, moltitudini precipitano nei crepacci del sistema, come evidenziato da cronica trascuranza dei sistemi sanitari pubblici, deboli sistemi previdenziali, gran divario nell’istruzione, mezzi di sostentamento precari.

‘Covid-19 è stato equiparato a una radiografia, che rivela le fratture nel fragile scheletro delle società che abbiamo costruito. Evidenzia ovunque inganni e falsità: la bugia che liberi mercati possano provvedere a un’assistenza sanitaria per tutti; la finzione che l’accudimento non pagato non sia lavoro; l’illusione che si viva in un mondo post-razzista; il mito che siamo tutti nella stessa barca. Galleggiamo sì sullo stesso mare, ma è chiaro che alcuni lo sono in super-yacht mentre altri sono appesi a rottami alla deriva.’   – Antonio Guterres, Segretario Generale ONU

Un capitolo ancora da scrivere è come la storia ricorderà quel che han fatto i governi reagendo alla pandemia. Infatti i governi anno una finestrella d’opportunità, che va restringendosi, per creare dopo il Covid-19 un’economia più uguale, inclusiva, protettiva verso il pianeta, e che ponga fine alla povertà. Trasformando cioè urgentemente l’attuale sistema economico, che ha sfruttato ed esacerbato elementi antichi – lungamente spacciati e creduti naturali, come il patriarcato, la supremazia bianca e i principi neoliberisti; e ha così indotto un’estrema disuguaglianza, povertà e ingiustizia. Lasciando per giunta del tutto impreparato il nostro mondo all’avvento della crisi. All’uopo, i governi hanno più che mai a disposizione idee realistiche e di buon senso per plasmare un futuro migliore. E devono cogliere l’occasione.

Storicamente le pandemie hanno costretto gli umani a rompere con il passato e immaginare il proprio mondo ex-novo. Questa che stiamo vivendo non è diversa, è un portale, un varco fra un mondo e il successivo. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci appresso le carcasse del nostro pregiudizio e odio, della nostra cupidigia, delle nostre banche dati e idee morte, dei nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo varcarlo con levità, poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo; e a lottare per ottenerlo.’     Arundhati Roy

La gente ovunque sta sempre più rendendosi conto che queste gravissime minacce son tutte conseguenze del nostro artificiale modello economico insostenibile, che pone il profitto prima delle persone e del pianeta stesso.   Milioni di persone in tutto il globo sono già mobilitate nel chiedere un cambiamento e protestare contro la disuguaglianza, il razzismo, il patriarcato e la crisi climatica. Una rassegna di rilevazioni globali dell’Università di New York rivela quanto la pandemia abbia mutate le priorità della gente per il futuro, e l’ampio sostegno per politiche miranti alla trasformazione radicale delle società, come tasse più alte per i più ricchi, bonifici emergenziali e un reddito base universale, servizi pubblici universali, cominciando dall’ assistenza sanitaria; una riduzione del potere delle megaziende; l’attribuzione di diritti e poteri effettivi a lavoratori e consumatori; e investimenti in una ripresa economica verde.

I modelli economici alternative non son solo teorici. L’indice CRI di Oxfam e DFI mostra come paesi come Sud-Corea, Sierra Leone e Nuova Zelanda si siano impegnati a ridurre la disuguaglianza come priorità nazionale, indicando come fare.  Bhutan,  Islanda e Nuova Zelanda, per esempio, hanno già adottato bilanci nazionali con precedenza agli indicatori di benessere rispetto a quelli di crescita aggregata del PIL a ogni costo. La Nuova Zelanda ha deciso d’includere il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli indigeni la riduzione della povertà infantile e il sostegno al benessere mentale dei giovani fra le 5 massime priorità del proprio bilancio. Parecchi enti governativi locali hanno anche mostrato di non dover aspettare iniziative nazionali per agire. Il piano di ripresa dalla pandemia di Amsterdam mira a soddisfare tutti i bisogni dei propri cittadini pur rispettando i limiti del pianeta. Shanghai ha rinunciato a perseguire la crescita del PIL e alcuni stati USA hanno adottato L’Indicatore di Autentico Progresso (GPI). Dunque, i governi devono contrastare l’antica ricetta a base di misure d’austerità brutali, inique e insostenibili facendo appello all’urgenza di creare una economia giusta cioè inclusiva, fautrice di uguaglianza, protettiva verso il pianeta, e risolutiva della povertà. La nostra salute e la nostra resilienza sono inestricabilmente collegate a quelle dei nostri vicini, come pure la nostra sopravvivenza di fronte ad altre crisi, economica, politica, sociale e climatica. Cooperazione e collaborazione non sono una scelta, ma l’unica strada percorribile.

Siamo ad un punto cardine nella storia umana. Non possiamo tornare al mondo brutale, ineguale e insostenibile in cui ci ha colti il coronavirus. L’umanità ha incredibile talento, immense ricchezza e infinita immaginazione, risorse che dobbiamo mettere all’opera per creare un’economia più uguale e sostenibile che benefici tutti, non solo i pochi privilegiati. Questo contribuirà a costruire un future che non sia guidato da miliardari, ma da voci varie e multiple, collettivamente, e fondato sui principii di democrazia e diritti umani.

1. Un mondo profondamente più uguale e che badi a ciò che conta

Una riduzione radicale e sostenuta della disuguaglianza è il fondamento indispensabile del nostro mondo nuovo. I governi devono porre obiettivi concreti, con tempi definiti, per ridurre la disuguaglianza, e non tornando semplicemente ai livelli pre-crisi, ma andando oltre per creare urgentemente un mondo più uguale. Combattere la disuguaglianza dev’essere al nucleo del salvataggio e della ripresa economica. E deve comprendere l’uguaglianza di genere e di razza.   I governi hanno proceduto a manovrare l’economia sulla base della falsa premessa che la crescita del PIL fosse l’obiettivo primario delle decisioni politiche, mentre invece non fornisce un criterio di guida per gestire le crisi di disuguaglianza né climatica, e contribuisce di fatto a tali crisi; e trascura inoltre di tenere in conto i milioni di ore di lavoro assistenziale non pagato, prestato specialmente dalle donne. Come fa notare l’economista Joseph Stiglitz: ‘Se misuriamo la cosa sbagliata, faremo la cosa sbagliata.’ I governi devono superare il totem PIL e cominciare ad avvalorare quel che conta davvero – e una riduzione netta e sostenuta della disuguaglianza ne è il nocciolo.

2. Un mondo dove le economie umane badano alle persone

I governi devono riconoscere il valore dei sistemi assistenziale e sanitario e investire in servizi pubblici pubblici di qualità e in protezione sociale a sostegno universale, dalla culla alla bara.  La pandemia in corso ha evidenziato il bisogno critico di maggiore spesa pubblica per l’assistenza sanitaria e per il suo accesso universale gratuito, riducendo intanto urgentemente le prestazioni a pagamento anticipato [del beneficiario]. Di una sanità pubblica debole e sottofinanziata soffrono soprattutto indigenti, donne e altri vulnerabili fra cui  comunità emarginate; che sarebbero particolarmente avvantaggiati da un’abolizione dei ticket e un’ estensione generalizzata dell’accesso gratuito. Paesi come Thailandia e CostaRica hanno mostrato quanto si possa fare in tempi relativamente brevi – in CostaRica in un decennio si è passati da un accesso alla sanità di base di 25% a uno quasi universale, che ha contribuito a ridurre sensibilmente le disuguaglianze.

Nella pandemia si è pure dimostrata la necessità di un’attenzione maggiore alla prevenzione e promozione sanitaria; che non vuol dire solo immensi aumenti all’accesso equo ad equipaggiamento protettivo personale (PPE), acqua pulita per lavarsi le mani, test e vaccini. Per il Covid-19, per le future pandemie e per diminuire il divario negli esiti sanitari, la prevenzione deve anche comportare un’azione urgente per affrontare le disuguaglianze economiche, razziali e di genere sottostanti che fan sì che chi ne patisce abbia sempre risultanze peggiori di salute e di sopravvivenza rispetto a chi gode di migliori risorse. Tale azione deve comportare garantire migliori abitazioni, acqua potabile e impianti igienici sicuri, migliori alimenti, previdenza sociale e protezione dalla violenza per poveri ed emarginati. I governi devono quindi provvedere ai vaccini per l’epidemia/e, domando le case farmaceutiche e insistendo per un accesso aperto ai brevetti e alle tecnologie che possano garantire farmaci e cure efficaci e sicure a tutti. Un primo test per la determinazione a perseguire una tale politica sanitaria sarà il grado di equità nella somministrazione dei vaccini anche agli esclusi.

La crisi ha posto a rischio il futuro dei giovani con la perdita di istruzione, tanto più ragazze e gruppi sociali marginalizzati. Secondo gli impegni assunti dai 70 stati membri nella dichiarazione del Convegno Globale sull’Istruzione (GEM) del 2020, i governi devono garantire la riapertura sicura ed equa degli istituti d’istruzione, fornire pacchetti d’incentivi che mitighino le perdite d’apprendimento, far sì che i bambini/e marginalizzati frequentino la scuola, e s’impegnano ad aumentare – o almeno mantenere il livello di spesa per la pubblica istruzione.

I governi devono garantire l’accesso universale alla protezione sociale, compreso il reddito base d’emergenza nel breve periodo e una sicurezza di reddito base oltre l’attuale crisi. Con una quota sproporzionata di donne, migranti e gruppi etno-culturali diversi nei settori peggio colpiti e nel lavoro informale, l’azione governativa per istituire una protezione sociale universale è cruciale per ridurre povertà e disuguaglianza. Reagendo al Covid-19, molti governi hanno mostrato possibile l’espansione dei programmi di protezione sociale. Il Rwanda ha distribuito alimenti e altri articoli essenziali a 20.000 famiglie, mirando a quelle con a capo donne dove hanno perso i propri mezzi di sussistenza manovali occasionali a causa del Covid-19. Argentina, Ecuador, Cile, Barbados, Peru e Tunisia hanno adottato misure di sostegno alle lavoratrici domestiche dall’inizio della pandemia.

Questi benefici devono essere permanenti, non temporanei, e tutti i paesi devono rafforzare misure del genere per far sì che nessuno resti vittima. Un’azione internazionale in tal senso è dovuta da tempo, e un Fondo Globale di Protezione Sociale per Tutti, incentrato sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere, contribuire a far sì che anche i paesi più poveri siano in grado di fornire un reddito base garantito a tutti i cittadini. Che ci si può permettere più di quanto comunemente si tema, confrontandone il costo con dispersioni e sprechi inosservati: per esempio, la Commissione Economica per LatinAmerica e Caribe (ECLAC) stimava a maggio 2020 al 2,8% del PIL il fabbisogno per i bisogni basilari dei 215 milioni di poveri regionali, vs lo 0,9% effettivamente speso e il 6,1% perso regolarmente in evasione ed elusione fiscale.

3. Un mondo senza sfruttamento e con sicurezza di reddito

La pandemia in corso mostra la nostra vulnerabilità globale, perlopiù ignorata ma prevista per effetto della globalizzazione selvaggia e della crescente dipendenza umana da fattori ambientali – sempre più problematici – e artificiali per la salute (con aspettativa di vita allungata ma vitalità sempre più condizionata). Oltre la reazione d’emergenza in atto si è più consapevoli di una necessaria preparazione alla resilienza. Che si ottiene fra l’altro con politiche che assicurino adeguati mezzi di sussistenza a tutti, primariamente mediante opportunità di lavoro degno e protetto. Il che implica esigere condizioni di lavoro e salari adeguati e l’autopromozione dei relativi diritti in organizzazioni collettive/sindacali che possano ottenere adeguato e responsabile coinvolgimento dei datori di lavoro e dei grossi azionisti. I governi devono anche promuovere la massima estensione di tale assetto al settore informale, specie ai migranti e ad altri gruppi discriminati, affrontandone le dinamiche di esclusione strutturale.  Inoltre i governi devono sostenere gli investimenti pubblici in agricoltura badando specialmente alle donne e ai piccoli proprietari, e le opportunità di reddito dei lavoratori agricoli – dato il sistema alimentare globale molto carente e la quota di poveri al mondo che vivono in ambiente rurale, almeno 70%.  I governi devono incentivare standard etici di responsabilità sociale e modelli organizzativi e gestionali sostenibili e inclusivi, in parte già praticati da pionieri non trascurabili (con $ 3 trilioni di ricavi annui complessivi; più impegnati verso i dipendenti, i partner e le comunità dove risiedono, e ambientalmente e fiscalmente più leali, quindi più beneficiati per reciprocità e più longevi): cooperative, imprese sociali, possedute e/o gestite dai dipendenti e aziende pubbliche in cogestione.

Le corporations (s.p.a. di struttura e dimensioni tali da essere partecipi autosufficienti e abituali del mercato globale di capitali e merci/servizi offerti – tipicamente con più sedi operative e sbocchi commerciali; definibili essenzialmente ‘megaziende’ – ndt) hanno il dovere di rispettare i diritti umani (anche normativamente impliciti) e non sottrarsi agli standard etici di responsabilità sociale perseguiti dai governi. Devono quindi badare agli eventuali effetti nocivi delle proprie attività e pagare tasse proporzionate; accordarsi per regolare i livelli massimi di profitti trattenibili, pagare salari equi con assenze per malattia e permessi famigliari retribuiti, integrazioni per la cassa disoccupazione, e considerare tetti retributivi ai dirigenti (la differenza max rilevata in GB nel 2018, fra un gestore patrimoniale e un’infermiera diplomata, era di 1400 volte; l’eccesso rispetto a un tetto retributivo annuo di Lst 100.000 in GB potrebbe aumentare di Lst 3.535 il reddito di ciascun percettore sotto la media generale), nonché privilegiare investimenti per la transizione ecologica a dividendi incondizionati ad azionisti straricchi (Se le megaziende francesi del CAC40 avessero limitato al 30% i profitti pagati agli azionisti nel 2018, avrebbero disposto del 98% del loro fabbisogno per la transizione ecologica).

I governi devono prendersi la responsabilità di far sì che i loro programmi di ripresa economica sostengano la transizione verso un futuro più giusto e sostenibile investendo nei settori più validi, cioè più rispondenti a bisogni fondamentali, con funzioni più fruttuose – sanità, istruzione, agricoltura, energia rinnovabile – da retribuire meglio di tanti lavori futili o addirittura nocivi attualmente più attraenti

4. Un mondo dove i più ricchi paghino la quota loro spettante di tasse

Gli alti costi della pandemia e della reazione sanitaria e di sostegno economico in corso, hanno reso più necessario ai governi rivedere le proprie fonti di sostentamento. Una soluzione ovvia, raccomandata dallo stesso FMI sarebbe chiudere i paradisi fiscali, metter fine alla dispendiosa competizione fiscale per attirare investitori [e posti di lavoro] e assicurarsi livelli fiscali equi dalle multinazionali più redditizie e dagli individui più ricchi. Essenziale per finanziare politiche di riduzione della disuguaglianza e ottenere un’economia baricentrata sulle persone e la biosfera. Nel breve termine un’imposta temporanea sui profitti extra fatti dalle 32 megaziende globali che più si sono avvantaggiate dall’inizio della pandemia bel 2020 avrebbe generato un gettito di $104 miliardi. Si potrebbero anche aumentare le imposte sui patrimoni e sui ricavi dai piani di ripresa, investendo le seconde nel sostegno ai gruppi meno autosufficienti. Si calcola che paesi come la Giordania, l’Egitto e il Marocco avessero introdotto un’imposta patrimoniale del 2% dal 2010, ne avrebbero ricavato più di quanto di quanto ottenuto in prestito dal FMI negli stessi anni, evitando le misure di austerità. Per il resto la fiscalità dovrebbe essere chiara e trasparente, più progressiva e meno indiretta con effetti sproporzionati e regressivi sui ceti meno abbienti e con consumi più basilari. La Commissione Indipendente Internazionale per la Riforma della Tassazione Aziendale Internazionale (ICRICT) raccomanda un’imposta globale minima del 25% sulle transnazionali.

5. Un mondo di sicurezza climatica

Mentre il mondo si occupa delle crisi di salute pubblica ed economica scatenate dalla pandemia, la crisi climatica ha continuato a crescere e il mondo sta per sforare l’obiettivo di 1.5°C di ulteriore riscaldamento atmosferico dell’accordo di Parigi del 2015, innescando così una serie di squilibri climatici concatenati. Seppur nessuno ne sia immune, le conseguenze continueranno ad essere più devastanti per i paesi a basso e medio-basso reddito, i più a rischio di sfollamenti di massa per impellenti motivi climatici, e comunque i più penalizzanti per le donne dei segmenti sociali più poveri, tipicamente più gravate da compiti sempre più difficili, fra cui procurare cibo e acqua. I popoli nativi, più esposti al cambiamento climatico, chiedono da molto tempo di mitigare il modello di ‘globalizzazione estrattivista’, consistente nel considerare la natura come fonte inesauribile di risorse da sfruttare.

Le risposte dei governi alla pandemia rappresentano decisamente l’ultima chance di ridurre le emissioni carboniche al ritmo senza precedenti richiesto, senza di che, seguendo l’andamento della sperabile ripresa economica come dopo la crisi finanziaria globale del 2008, costringeranno il mondo in un tunnel di tragici squilibri climatici incontrastabili. Ciserve invece decisamente un’economia più onesta e meno estrattivista di quella che ci ha portato al precipizio. I governi devono smettere urgentemente i sussidi pubblici alle industrie di combustibili fossili, costati nel solo 2019 oltre $320 miliardi, e impedirgli di avvantaggiarsi delle misure di sollievo/ristoro economico introdotte in risposta alla pandemia.  Bisogna dirigere le banche sia commerciali sia multilaterali di sviluppo a cessare i propri investimenti in combustibili fossili e intensificarli nelle fonti rinnovabili sostenibili, che stanno rapidamente diventando la fonte di elettricità a minor costo della storia. Da nessuna parte al mondo dovrebbe essere più permessa la costruzione di una sola nuova centrale elettrica alimentata a carbone, i cui costi sanitari e climatici sono sopportati dalle comunità più povere e marginalizzate al mondo.

I governi devono progettare tasse sul carbonio progressive, con aliquote più alte o misure predefinite per consumi di carbonio di lusso, come i tributi sui voli frequenti o di business class oppure sugli inquinanti SUV (veicoli da carico sportivi), usandone il gettito a sostegno di comunità a basso redito e comunque più vulnerabili. Tali tasse sono potenzialmente un’importane nuova fonte di finanziamento per programmi espansi di protezione sociale o di altri servizi pubblici universali, che riducano la necessità di crescita interminabile dei redditi per soddisfare i bisogni basilari, e – come mostrato dalla pandemia – che possano aumentare immensamente la resilienza di comunità vulnerabili di fronte a shock ripetuti da modalità meteorologiche sempre più estreme.  Ai lavoratori di aree così colpite, tanto più se donne e membri di comunità marginalizzate, si dovrebbero offrire garanzie lavorative in settori a bassa emissione – energie rinnovabili, efficienza energetica, o assistenza sanitaria e sociale.

Si devono proteggere i diritti dei Popoli Indigeni e delle comunità locali, custodi delle foreste e terre del mondo che fungono da pozzi di drenaggio del carbonio, sostenendo fra l’altro i piccoli agricoltori e i produttori di alimenti agro-ecologici anziché l’agricoltura industriale, estrattiva, molto inquinante.  Più generalmente, lavoratori, donne e comunità marginalizzate devono essere tenuti presenti ai vari livelli dei processi decisionali, garantendone l’ascolto nel programmare la transizione a un’economia che permetta ad ognuno di realizzare i propri diritti umani entro i limiti sopportabili dal pianeta.

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