(Italiano) Un Bilancio Palestinese: Vittorie Normative, Delusioni Geopolitiche

ORIGINAL LANGUAGES, 22 Feb 2021

Richard Falk | Centro Studi Sereno Regis - TRANSCEND Media Service

Vincere la lunga partita

19 Febbraio 2021 – In settimane recenti i palestinesi hanno conseguito importanti vittorie che avrebbero avuto fosche conseguenze immediate per Israele se legge e moralità potessero governare il destino politico. Invece, i palestinesi si trovano ad affrontare sviluppi geopolitici come risultato dell’accettazione da parte della presidenza Biden di alcune fra le caratteristiche più regressive dell’iper-partigianeria di Trump riguardo a Israele/Palestina. Legge e moralità alterano le reputazioni, concernono la legittimità di politiche contestate, mentre la geopolitica riguarda il comportamento, la differenza fra cui è quella fra legittimità ed egemonia. La mia ipotesi non dimostrabile ma ferma credenza è che l’egemonia vince oggi, ma la legittimità trionfa domani.

C’è una tendenza a lasciar perdere i guadagni della legittimità come se quel che importa nella vita della gente sembrasse restare congelato. Nella lunga partita del mutamento sociale, specialmente nel corso degli ultimi 75 anni, il vincitore di una Guerra di Legittimità combattuta per alti motivi legali e morali ha avuto alla fine, più sovente che non, il controllo dell’esito politico di una lotta, superando via via in durata la prevalenza geopolitica e la superiorità militare avversaria. Le guerre anti-coloniali, non si dovrebbe dimenticare, furono vinte dal versante militarmente più debole, che sopportò i tormenti della profanazione nel loro percorso verso la vittoria. Ecco la lezione di figure ispiratrici come Gandhi e Martin Luther King Jr., che diedero la vita per ammaestrare il mondo, pur con risultati misti, per ora.

La lotta palestinese continua e si offre al mondo di una guerra coloniale fatta in un’era post-coloniale, in cui si richiedono tattiche crudeli per nuotare contro le forti maree liberatorie della storia. Israele s’è dimostrato uno stato coloniale di insediati pieni di risorse, che ha pressoché completato il Progetto Sionista, progredendo a tappe verso i propri obiettivi sempre con i muscoli geopolitici dell’Occidente. Solo di recente Israele ha perso il controllo del discorso normative che aveva dominato in precedenza ponendo in risalto l’orrenda persecuzione degli ebrei meritevoli dopo l’Olocausto di un rifugio sicuro, ignorando le pretese nativiste palestinesi di far valere il controllo della propria patria, e circolando abilmente ingannevoli ritratti pubblicitari di sostituzione della lurida arretrata stagnazione araba con una fiorente società ebraica moderna, dinamica e innovativa, che cantava e danzava mentre il modo dormiva. In seguito Israele si è reso un prezioso presidio Occidentale in una regione agognata per le sue riserve energetiche e sempre più temuta per il suo estremismo e la sua risorgenza islamica anti-occidentale.

Come per altre lotte anticoloniali, il fato dei palestinesi si accenderà se riuscissero finalmente a superare uno stato ferocemente repressivo, se gli venisse dato più margine di manovra quando collegati, com’è per Israele, con attori geopolitici da affinità strategiche regionali e globali. Possono i palestinesi assicurarsi i propri diritti fondamentali con la propria miscela caratteristica di forze interne/esterne, di resistenza dall’interno e campagne globali di solidarità da fuori? Questa è la natura della Lunga Partita Palestinese. Attualmente, tale traiettoria è nascosta frai i misteri della storia nazionale, regionale, e globale in svolgimento.

Vittorie normative palestinesi

Cinque anni fa, nessuna persona sensate avrebbe previsto che la più rispettata ONG d’Israele, B’Tselem, pubblicasse un rapporto che asseriva che Israele aveva istituito uno stato d’apartheid al governo di un singolo territorio esteso dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, cioè, comprensivo non solo della Palestina Occupata bensì pure d’Israele stesso. Con un’analisi precisa, il rapporto mostrava che le politiche e le pratiche israeliane riguardo a immigrazione, diritti fondiari, residenza, e mobilità sono amministrati secondo uno schema prevalente di supremazia ebraica, attuando con tale logica una soggiogazione palestinese (anzi, per la precisione, non-ebraica, valida anche per drusi e cristiani non-arabici). Una tale disposizione politica discriminatoria e sfruttatrice è qualificativa dell’apartheid, come istituito inizialmente in SudAfrica e poi generalizzato come crimine internazionale nella Convenzione 1973 Internazionale del 1973 sulla Soppressione e Punizione del Crimine di Apartheid. Quest’idea della criminalità dell’apartheid fu portata avanti nello Statuto di Roma che stabilisce la cornice entro la quale svolge le proprie attività la Corte Penale Internazionale (ICC) all’Aja. L’articolo 7 dello Statuto enumera i vari Crimini contro l’Umanità su cui l’ICC fa valere la propria autorità giurisdizionale. L’apartheid vi è classificato come un tale crimine all’articolo 7(j), seppure senza una definizione.

Poi giunse la decisione ampiamente prevista della Camera Preprocessuale dell’ICC il 5 febbraio 2021. Con un voto di 2 a 1 la decisione della Camera affermava l’autorità di Fatou Bensouda, il pubblico ministero dell’ICC, nel procedere con un’indagine dei crimini di guerra israeliani commessi dal 2014 in Palestina, come geograficamente definita dai suoi confini provvisori del 1967. Per giungere a questo esito la decisione dovetti fare due importanti pronunciamenti: primo, che la Palestina, benché mancante di molti attributi di sovranità, era decisamente qualificabile come Stato per lo scopo di questo procedimento ICC, essendo divenuta una parte coinvolta dello Statuto di Roma nel 2014 dopo essere stata riconosciuta come ‘Stato osservatore non-membro’ dalla Assemblea Generale [ONU] del 29 novembre 2012 (Risoluz. 67/19); e, secondo, che la giurisdizione dell’ICC a indagare sui crimini commessi sul territorio palestinese era autorevolmente identificata come comprensiva di Cisgiordania, Gerusalemme-Est, e Gaza, cioè, i territori occupati da Israele durante la guerra del 1967.

Si dovrebbe notare che questo procedimento pre-processuale aveva attirato un interesse insolitamente vasto nel mondo sia per l’identità dei soggetti coinvoltivi, sia per il carattere intrigante dei temi. I giuristi sono da tempo occupati dalla definizione della statualità secondo i vari ambienti legali e dal comporre dispute giurisdizionali riguardanti temi insorti in territori mancanti di confini internazionali stabiliti come permanenti. Segnalando tali alte poste nel procedimento legale in questione, furono sottoposte alla valutazione della Camera ben 43 perizie (senza precedenti) fra cui da figure eminenti di ambo i versanti della controversia. Israele non era parte coinvolta nello Statuto di Roma e declinò di partecipare direttamente al procedimento o di esservi vincolato, e tuttavia fu infuriato dal suo esito, evidentemente con la sensazione di star perdendo il controllo sulle menti e i cuori internazionali.

La decisione fu promettente, aldilà dei suoi temi strettamente legali, da un punto di vista palestinese, in quanto un’Indagine Preliminare fatta dal Publico Ministero sui sei anni precedenti aveva già concluso che c’era ampia ragione di sostenere la conclusion che in Palestina erano stati compiuti crimini da Israele e da Hamas, specificamente riferiti a tre collocazioni:

  1. il massiccio attacco IDF [Israeli Defense Forces] a Gaza nel 2014, noto come Operation Protective Edge;
  2. gli usi sproporzionati della forza da parte IDF nel reagire alle proteste Right of Return [Diritto al Ritorno] a Gaza durante il 2018-19;
  3. l’attività d’insediamento in Cisgiordania e a Gerusalemme-Est.

E’ stabilito che il Pubblico Ministero può procedure, ma non è tutto oro quel che luccica! La signora Bensouda finisce il proprio mandato all’ICC a giugno, e non è ancora stato scelto il suo successore, che potrebbe a discrezione proseguire o meno l’indagine, che a quanto pare sta plasmando la politica che gravita attorno alla nomina. Sarà allora evidente se l’ICC arrivi a un necessario impulso nei propri sforzi di sganciarsi dagli architetti geopolitici dell’ordine mondiale, o se ripiombi nella sua precedente immagine di persecutore della criminalità internazionale ‘solo africana’.

Delusioni geopolitiche

Era ragionevole, ma forse non realistico, che la Palestina sperasse che una presidenza Biden, più moderata, rovesciasse le mosse più nocive fatte da Trump, che così smaccatamente rigettava il diritto internazionale e l’autorità ONU. Il segretario di stato di Biden, Antony Blinken, sui temi più significativi ha mandato segnali apparentemente più di ratifica che d’inversione o modifica della diplomazia di Trump. Blinken ha affermato, ciò che Biden aveva lasciato imlicito, di sostenere lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, affiancando Trump nel rifiuto di adeguarsi alla Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU approvata a gran maggioranza nel 2017, che dichiarava la mossa dell’ambasciata ‘vacua’ e senza effetto legale. Blinken ha anche indicato il sostegno USA all’incorporazione territoriale delle Alture del Golan da parte di Israele, di nuovo snobbando il diritto internazionale e l’ONU, che era rimasto saldo sul principio stabilito riguardo all’occupazione israeliana dei territori palestinesi dopo la guerra del 1067 nell’iconica Risoluzione di Sicurezza 242 – cioè che non si potesse acquisire legalmente territorio con una conquista a forza.

Valutazione dei più e dei meno

Finora l’importanza dell’insuccesso israeliano nella guerra di Legittimità prevale nettamente sulle prevedibili delusioni geopolitiche palestinesi. Le razioni palestinesi a tali delusioni sono state smorzate rispetto alla reazione apoplettica israeliana alla decisione dell’ICC, in cui la risposta irosa e calunniosa di Netanyahu – “Quando l’ICC indaga su Israele per crimini di guerra fasulli si tratta di puro antisemitismo, Combatteremo questa perversione della giustizia con tutte le nostre forze” – fu replicata da ogni capo politico d’Israele. Commenti che pur nella loro violenza mostrano che Israele bada molto ai temi di legittimità, e a ragione. Il diritto internazionale e la moralità possono essere sfidati ma è molto sbagliato supporre che non importino. Il SudAfrica ha imparato che perdere la Guerra di Legittimità costrinse a smantellare l’apartheid. Forse i leader israeliani cominciano a scorgere la scritta sul muro. Nei decenni a venire la decisione ICC può risultare il punto di svolta, non così diverso dal massacro di Sharpeville [69 uccisi e 180 feriti dalla polizia sudafricana – incl. 29 bambini e molti fuggitivi da una dimostrazione sulla libertà di movimento] del 1960. Prima dell’alba la notte è più buia. La maggioranza Africana attese allora oltre 30 anni per la propria emancipazione dall’apartheid. I palestinesi hanno già sopportato gli stenti e le umiliazioni della soggiogazione razzista e della supremazia ebraica per più di 70 anni. Quando finirà, e come?

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Richard Falk è membro della Rete TRANSCEND, studioso di relazioni internazionali, professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University, autore, coautore o redattore di 40 libri, e conferenziere e attivista in affair mondiali. Nel 2008, the United Nations Human Rights Council (UNHRC) ha nominato Falk per sei anni United Nations Special Rapporteur su “la situazione dei diritti umani nei territori Palestinesi occupati dal 1967”. Dal 2002 vive a Santa Barbara, California, e insegna al campus locale di Studi Globali e Internazionali dell’University of California, e dal 2005 presiede il consiglio d’amministrazione della Nuclear Age Peace Foundation. I suoi libri più recenti sono: On Nuclear Weapons, Denuclearization, Demilitarization, and Disarmament (2019); ed Public Intellectual-The Life of a Citizen Pilgrim (memoirs-autobiography) (Clarity Press) Feb 2021.

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