(Italiano) Donne, scienza e visioni del mondo

ORIGINAL LANGUAGES, 12 Feb 2024

Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service

Un libro stimolante

Le affermazioni scientifiche descrivono il mondo. E nel mondo là fuori ci sono i fatti, fenomeni che esistono indipendentemente da noi che decidiamo di studiarli. Lo scopo della scienza è di conoscere queste cose in sé, cercando di rendersi indipendenti da chi le studia e garantire così l’obiettività dell’impresa scientifica”. [pag. 120]

Le domande che le scienziate e gli scienziati trovano interessanti e quelle che decidono di trascurare, il modo in cui queste domande sono formulate ma anche le osservazioni, i metodi e gli strumenti utilizzati, così come i dati che vengono assunti come rilevanti e il contesto nel quale si sceglie di raccoglierli: tutti questi aspetti della pratica scientifica possono davvero essere isolati dall’ambiente in cui l’indagine e la ricerca su muovono?” [pag. 121]

Le due citazioni sono tratte dal libro Oltre Marie. Prospettive di genere nella scienza, scritto da Nastassja Cipriani e Edwige Pezzulli (Ed. le plurali, 2023).

Ringrazio Malvina, libraia attenta e intraprendente, per avermi segnalato questo libro, che con un linguaggio rigoroso ma scorrevole propone alla riflessione di lettrici e lettori due temi strettamente interconnessi: lo sguardo femminile e la conoscenza scientifica.  In realtà sono due temi di rilevanza cruciale in questo tempo malato: anche se la componente femminile dell’umanità è del 49,7 %, la visione dominante nel mondo è ancora maschile/patriarcale, bellicosa, e il ‘potere’ si esprime prevalentemente con la violenza delle parole e delle armi nelle ricorrenti guerre tra ‘nemici’.

dobbiamo riflettere su cosa il potere è, a cosa serve, e come viene misurato, […] se le donne non sono percepite pienamente all’interno delle strutture di potere, non sarà forse il concetto di potere che dobbiamo ridefinire piuttosto che le donne?” [Mary Beard, Women in power, 2017].

Le autrici

Natassja Cipriani ed Edvige Pezzulli sono due ‘assegniste di ricerca’ presso istituzioni universitarie – una matematica e l’altra astrofisica – che alcuni mesi fa (settembre 2023) hanno pubblicato un libro dal titolo “Oltre Marie”. Il significato del titolo non è immediatamente comprensibile: incuriosisce, e stimola a saperne di più sul contenuto. Il sottotitolo (Prospettive di genere nella scienza) aiuta a focalizzare il tema: ‘Marie’ è il nome di una delle scienziate più famose della seconda metà dell’800: si tratta di Maria Curie, celebrata per le sue straordinarie ricerche, che la portarono a scoprire il mondo della radioattività, quel mondo che diede origine agli studi e alle applicazioni di una nuova forma di energia, l’energia nucleare.

Maria Curie viene ricordata oggi non solo per il suo lavoro scientifico, ma anche per essere stata insignita due volte del Premio Nobel: per la fisica nel 1903, per la Chimica nel 1911. Fu anche la prima donna ad ottenere una cattedra alla Sorbona, aprendo così simbolicamente la strada al progressivo, faticoso, ma alla fine vittorioso accesso delle donne nel mondo – fino ad allora rigorosamente chiuso – della produzione di conoscenza scientifica.  Natassja ed Edvige, con il loro titolo un po’ ambiguo, introducono una molteplicità di temi nel loro saggio, e accompagnano lettori e lettrici a riflettere sulle interconnessioni tra le condizioni socio-culturali femminili nel periodo in cui si è sviluppata la scienza del ‘900, e il pensiero via via elaborato dalle donne nel mondo STEAM (l’acronimo con il quale si indicano scienziate (S), tecnologhe (T), ingegnere (E, dall’inglese), artiste (A) e matematiche (M)).

Le due autrici hanno dato vita, insieme ad altre giovani studiose, ad una rete in cui si intrecciano e si confrontano discipline diverse creando dialogo e sostegno reciproco, generando uno spazio per la riflessione ma anche per l’azione.  Riflessione e azione che sono ormai elementi inseparabili e parte integrante della produzione di nuovi modi scientifici di descrivere e interpretare il mondo.

Una presentazione non convenzionale

Nella rete STEAM non c’è un centro ma tante periferie che interagiscono tra loro: le partecipanti sono convinte che la produzione del sapere scientifico debba essere un processo collettivo, inclusivo e sostenibile, e che la conoscenza scientifica rappresenti un bene comune da redistribuire. Questa convinzione è alla base del modo di organizzare il libro (scritto a 4 mani), che utilizza un linguaggio scorrevole, curando gli aspetti grafici (per esempio, non ci sono note nel testo) ed espone i concetti in forma semplice e divulgativa.

La lettura è gradevole, ma il testo è tutt’altro che banale! Via via che procedevo nelle pagine, ho segnato i nomi di numerose studiose citate nel testo: una successiva ricerca che ho poi svolto per conto mio, per approfondire gli argomenti, mi ha aperto un mondo in parte sconosciuto, e mi ha consentito di immergermi a mia volta nella rete di conoscenze, di riflessioni, di dialoghi che sono attualmente parte viva della costruzione di una nuova scienza. Le donne citate nel libro provengono da percorsi formativi molto diversi: ci sono antropologhe, zoologhe, fisiche, matematiche, biologhe, storiche, filosofe ed epistemologhe.

Tutte però – presto o tardi nel loro percorso professionale – hanno incontrato (spesso in modo doloroso e sofferto) il nodo del ‘genere’: essere donne, svolgere vite di donne, pensare al femminile ha comportato – soprattutto fino a tutto il secolo scorso – fatiche, ostacoli, incomprensioni, mortificazioni…. Riuscire a farsi ‘vedere’, a farsi riconoscere, come persone e come pensatrici, ottenere di potersi esprimere e, talvolta, di farsi ascoltare è stata il più delle volte un’ardua impresa!

Femminismo e visioni del mondo

La prima parte del libro riprende soprattutto qualche aspetto della difficile battaglia delle donne scienziate. Il racconto delle consuetudini consolidate di un mondo tutto al maschile; delle ostilità, gli stereotipi, i ‘bias’ (cioè le assunzioni implicite, spesso inconsapevoli) che hanno accompagnato il percorso di emancipazione femminile, aiutano soprattutto le giovani ricercatrici delle ultime generazioni a capire e ad apprezzare il lungo percorso di molte donne coraggiose nell’aprire la strada verso la parità di genere nell’impresa scientifica.

La partecipazione femminile allo studio delle discipline scientifiche, praticamente inesistente alla fine dell’800, è lentamente aumentata nel corso del ‘900, e dall’inizio degli anni 2000 viene monitorata dalla Commissione Europea: dal 2003 al 2021 sono stati pubblicati sei Rapporti (She Figures) che misurano e confrontano le differenze di genere nell’UE nel settore R&I (Ricerca e innovazione). Attualmente i dati relativi alla presenza di laureate in questo settore è di circa il 40%, tuttavia…nelle posizioni più prestigiose se ne trova solo più il 20%.

Cos’è successo? Le autrici utilizzano a questo proposito un paio di  metafore. Una è quella del ‘soffitto di cristallo’: mentre i maschi salgono indisturbati lungo la scala della carriera, le donne si trovano a un certo punto di fronte a un ostacolo invisibile e invalicabile: un soffitto, appunto, di cristallo, che impedisce loro di proseguire. L’altra metafora è quella del ‘tubo che perde’: nel gocciolamento (gli ostacoli lungo il cammino) sono le donne ad essere più penalizzate, e ad abbandonare l’impresa.

La progressiva conquista di una parità di genere nel campo scientifico non è solo una rivendicazione sindacale, ma significa che a costruire scienza, e a riflettere sulla natura della conoscenza scientifica, arrivano voci nuove, che per secoli erano state zittite. E’ un soffio di novità, e un contributo a una varietà di ripensamenti sui modi umani di interpretare il mondo e soprattutto di interagire con ciò che è ‘fuori da noi’.

La seconda parte del libro riguarda maggiormente lo straordinario cambiamento di prospettiva (ancor oggi poco conosciuto e molto ostacolato) sulla natura della relazione tra l’umanità e il mondo ‘esterno’, cioè la ‘natura’. L’idea della separazione tra soggetto e oggetto, e l’illusione della possibilità umana di raccontare il mondo così com’è, oggettivamente, è naufragata definitivamente grazie a un insieme di elementi che – in ambiti e in tempi diversi – hanno messo in discussione tale possibilità.  In questa trasformazione le donne hanno avuto – e hanno tuttora – un ruolo importante.

Uno sguardo situato

Nel capitolo del libro che porta questo titolo (Uno sguardo situato) le autrici richiamano l’attenzione di lettrici e lettori su un aspetto dell’impresa scientifica che in generale è poco conosciuto dal pubblico: per ogni mente ‘eccezionale’, per ogni ricercatrice o ricercatore ‘geniale’, vi sono centinaia e migliaia di professionist* meno famos*, ma la cui attività è indispensabile allo sviluppo di nuove conoscenze. L’attività scientifica è infatti un’opera collettiva, nella quale i singoli soggetti, spesso partendo da una formazione specialistica su una singola disciplina (fisica, geologia, biologia, ma anche sociologia, veterinaria ecc.) e attingendo alle conoscenze consolidate del proprio campo di studio intervengono con nuove ipotesi, con collegamenti interdisciplinari e trans-disciplinari, con testimonianze di esperienze sul campo…

Il risultato di questo lavoro non è, come si pensava fino a pochi decenni fa, il montaggio di un puzzle, nel quale ciascun* inserisce il pezzetto relativo alla propria disciplina, ma assomiglia di più alla produzione, dinamica e mutevole, di un tessuto – un sapere scientifico interdisciplinare e dinamico – che si modifica con disegni sempre nuovi, con rammendi e ricami, con strappi e toppe, smentendo sia la visione del mondo come ‘oggetto’, sia il ruolo delle/degli scienziat* come portatori di singoli sguardi obiettivi e giustapposti.

A trasformare radicalmente l’idea di scienza e del sapere scientifico hanno contribuito numerose correnti di pensiero, di cui almeno alcune possiamo ricordare qui: una è la rivoluzione della Fisica, con l’introduzione del dualismo onda- particella nella descrizione del mondo subatomico.  Un’altra riguarda il riconoscimento della impossibilità di sviluppare un pensiero, una visione che sia totalmente libero da vincoli: ogni sguardo, ogni descrizione o interpretazione o misura del mondo è sempre  ‘situato’, dipende cioè dal contesto storico e geografico, dal linguaggio (e dalle sue metafore),  dalla storia e dal genere dei singoli soggetti. In particolare, l’affacciarsi del genere femminile al lavoro scientifico ha permesso di verificare quanto   possano essere diverse – talvolta complementari, talaltra contrastanti – le interpretazioni maschili e femminili di uno stesso processo o evento.

Le autrici riportano alcuni esempi interessanti di questa differenza di sguardi. Uno riguarda l’incontro tra spermatozoi e ovuli, a lungo descritta come una conquista maschile, esito di una competizione vigorosa ed energica nei confronti di un unico ovulo, bersaglio passivo e inerte del processo di fecondazione. In realtà questa ‘gara’ tra baldanzosi soggetti in corsa per raggiungere il bersaglio si è rivelata poi una interazione tra soggetti (maschile e femminile) che intrecciano un dialogo assai più paritario. Altri esempi della diversità di sguardi (e quindi di risultati sperimentali e interpretazioni) in altri ambiti riguardano l’antropologia, la zoologia, persino lo studio delle cellule in vitro.

Molto conosciuto è l’esempio dello sguardo ‘femminile’ di Barbara McClintock, studiosa della genetica del mais. Scostandosi dalla visione dominante della biologia molecolare, che assegnava alla molecola di DNA una completa autonomia e considerava unidirezionale il flusso dell’informazione genetica (dal ‘centro di comando’ alla periferia), la McClintock ‘ascoltava’ i suoi preparati, “mettendosi in sintonia con l’organismo”: ne osservava cioè gli aspetti dinamici e le relazioni impreviste. Fu grazie a questo modo non gerarchico di analizzare il processo biologico che la studiosa propose nuove interpretazioni, per le quali le fu (tardivamente) assegnato nel 1983 il Premio Nobel per la Medicina [i].

Il contributo del femminismo

Un aspetto del libro di Nastassja Cipriani e Edwige Pezzulli che mi è sembrato particolarmente interessante è la carrellata di idee e riflessioni sul tema della conoscenza scientifica espressa da numerose autrici femministe, che in ambiti di ricerca assai disparati – e spesso senza diretti collegamenti tra loro – hanno contribuito a trasformare non solo i contenuti del sapere scientifico ma anche l’idea stessa di scienza. Di alcune di loro ho selezionato qualche frase, qualche pensiero citati nel libro: piccoli indizi di una elaborazione femminile.

Marta Gonzales Garcia  (filosofa). “Quando ci limitiamo a osservare solamente ciò che ci salta agli occhi, spesso finiamo per perderci la parte più interessante”.

 Londa Schiebinger (storica della scienza).   “L’integrazione dell’analisi di sesso e genere nella progettazione sperimentale ha consentito progressi in molte discipline, come il miglioramento del trattamento delle malattie cardiache e approfondimenti sull’impatto sociale dei pregiudizi (bias) nascosti negli algoritmi.”

Emily Martin (antropologa). “Da una prospettiva femminista spiegazioni scientifiche come <lo sperma penetra con forza nell’ovulo> vengono presentate in modo sessista, a svantaggio delle donne”.

Jane Goodall (primatologa) “notò aspetti della vita degli scimpanzé che altri prima di lei non avevano visto […];  si rese conto che le femmine non sono semplicemente uno strumento o una risorsa passiva all’interno di una comunità diretta esclusivamente dai maschi”.

Thelma Rowell (zoologa) “quando iniziò a studiare i babbuini, descritti fino a quel momento principalmente attraverso i combattimenti tra maschi, colse una realtà molto diversa” e documentò che sono le babbuine a fornire la struttura basilare della comunità.

Sandra Harding (filosofa e teorica femminista), propone una modalità per massimizzare il grado di oggettività della ricerca scientifica – la standpoint theory – che consiste nello spostare consapevolmente il punto di partenza della produzione del sapere dalla prospettiva della comunità scientifica tradizionale a quella delle categorie sociali marginalizzate, discriminate, periferiche.

Donna Haraway (filosofa): il suo pensiero è fondato sulla critica alla cultura occidentale, basata da coppie di categorie come uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Questo dualismo concettuale non è simmetrico, ma è  funzionale alla pratica del dominio di un elemento sull’altro:  sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali.  

E’ stata una donna, Karen Barad (fisica e filosofa) a rifarsi alla prospettiva della fisica quantistica elaborata da Niels Bohr, secondo il quale le pratiche scientifiche dovrebbero essere intese come interazioni tra parti della natura, per proporre un quadro in cui “l’universo è visto come un insieme di fenomeni interdipendenti, dove l’osservazione non è mai neutrale e partecipa attivamente alla formazione della realtà”. 

La nostalgia per “metodo scientifico” e “scientificamente provato”

Il variegato contributo delle scienziate nella riflessione e nella pratica della scienza mette in evidenza la pluralità di sguardi ‘situati’ che caratterizza il dibattito moderno: questi potrebbero – secondo i nostalgici della visione tradizionale della scienza – confluire in un’unica versione finale. Per secoli ha dominato l’idea che “lo scopo della scienza” sia quello di “conoscere le cose in sé” cercando di rendersi indipendenti da chi le studia e garantire così l’obiettività dell’impresa scientifica, grazie alla cosiddetta “view from nowhere”.

Raccogliendo prove e costruendo teorie senza formulare giudizi personali né lasciarsi influenzare dai propri valori, esercitando distacco emotivo e controllo delle situazioni sperimentali, il fine è quello di conseguire una conoscenza obiettiva, imparziale e impersonale – quella alla quale la società si appella per prendere le decisioni collettive. In questa prospettiva, sono molt* a sostenere come valida l’asserzione “La scienza dice il vero al potere” (Wildavsky 1979).  Questa posizione è ancora dominante nell’opinione pubblica, nel mondo politico e negli organi decisionali, e continua a suscitare polemiche, controversie e aspettative destinate a fallire.

Cipriani e Pezzulli, a pag. 109 del libro, ci ricordano episodi di confusione e incertezza durante la recente pandemia da COVID. Così si esprimeva uno dei tanti decisori pubblici: “Chiedo alla comunità scientifica, senza polemiche, di darci certezze inconfutabili e non tre o quattro opinioni per ogni tema […] pretendiamo chiarezza altrimenti non c’è scienza”.

Una pluralità di legittime prospettive

Molt* scienziat* sono in affanno perché sempre più spesso alla scienza viene chiesto di fornire risposte chiare e univoche su questioni sanitarie o socio-ambientali, in contesti di per sé ad elevata complessità e incertezza, e in cui è urgente prendere decisioni o predisporre politiche regolatorie. Il coinvolgimento in processi decisionali su tali temi, che riguardano la vita di molte persone o delicati processi ambientali, pone a chi fa ricerca scientifica una sfida particolarmente difficile, per le implicazioni che tali tematiche hanno in termini di rischio, sicurezza e precauzione.

Da  qui è emersa l’idea che sia necessario prendere atto della pluralità di legittime prospettive in gioco nelle questioni in esame – sempre più complesse – e coinvolgere una cerchia più ampia di soggetti, anche esterni alla comunità scientifica: infatti in tutte le circostanze in cui i valori degli interventi sul piano sociale sono in discussione, la posta in gioco è alta e le decisioni urgenti, l’approccio scientifico tradizionale risulta inadeguato a fornire una conoscenza affidabile e condivisa di supporto alle decisioni politiche.  Da questa consapevolezza emerge la proposta dell’approccio della scienza post-normale (PNS)[ii], che è oggetto di un recente volume[iii], presentato alcuni mesi fa anche al CSSR.

Il Centro Studi Sereno Regis ha condiviso fin dalla sua prima elaborazione l’idea di scienza ‘post-normale’ proposta da due studiosi, Jerry Ravetz e Silvio Funtowicz, che negli anni ’80 del 900 si chiedevano “se, e in quali modi, non sia la scienza a dover essere trasformata, se deve aiutarci nella ricerca della sostenibilità e sopravvivenza”.  Lo sviluppo del pensiero femminile (cui ho accennato nelle pagine precedenti), con lo sguardo volto sia a superare gli squilibri prodotti dal dominio maschile, sia a conquistare spazi di dialogo e di inclusione non solo per le donne, ma per tutte le categorie emarginate e discriminate, si integra efficacemente con l’idea di scienza post-normale.

Non solo: la riflessione di Jerry Ravetz, in particolare, va a toccare nodi cruciali dell’impresa scientifica, che riguardano la responsabilità e l’etica. In un suo contributo, all’interno del volume sopra citato[iv] , egli propone una progressiva trasformazione della coscienza tra scienziat*, basata sui principi della nonviolenza e della compassione.

Verso la scienza relazionale

La progressiva estensione del concetto di ‘soggetto’ nella riflessione scientifica si è modificata da scoperta individuale e maschile a impresa collettiva di tant* studios*, fino a esplorazione compiuta da gruppi misti – scienziat* e ‘stakeholders’ (aventi diritto). Il passaggio successivo – radicalmente diverso ed epistemologicamente emozionante – è stato quello di superare il dualismo soggetto/oggetto, e di includere i ‘non-umani’ – gli altri viventi – tra i protagonisti della costruzione della conoscenza. A partire dall’attenzione, finalmente incuriosita e rispettosa, nei confronti dei viventi a noi più simili, gli altri mammiferi, lo sguardo  si è esteso agli animali invertebrati, ai vegetali, fino ai batteri.

Aprire la mente, l’intelligenza, le emozioni per entrare in comunicazione con altri e altre da noi sta aprendo spazi inaspettati di sorprendenti opportunità. Come Jerry Ravetz, con la scienza post-normale, aveva introdotto la prospettiva della nonviolenza, così l’avvio delle ricerche, in fase di tumultuosa crescita, sulle possibilità di comunicazione paritaria con le innumerevoli altre creature con le quali co-abitiamo,  sta delineando un mondo nuovo, basato sulla cooperazione, sul dia-logo, sull’azione sinergica…

Si moltiplicano le pubblicazioni i cui protagonisti sono soggetti non-umani: ricercatrici e ricercatori umani si sono mess* finalmente in ascolto, e cercano poi di raccontare – con tutte le imperfezioni della loro limitata e ancora impacciata comprensione – l’esito dei loro dialoghi con tordi, polpi, tartarughe, orsi… ma anche con betulle, pini, mimose, muschi, fino ai batteri e ai virus: tutti in grado – per il fatto stesso di essere vivi – di avere sviluppato efficaci e sofisticate abilità comunicative[v].

Pratiche di cura

E’ ormai noto anche al grande pubblico che tutte le creature viventi sono in grado di tessere una ricca rete di comunicazioni tra loro e con altre specie: si tratta di una competenza indispensabile alla sopravvivenza. Noi stess* siamo creature complesse e composite, ciascuna definibile come “nicchia abitata da altr*” o come “intero composito ed eterogeneo” (Gagliasso, 2015), e il nostro stato di salute dipende in ogni istante dal buon funzionamento dei molteplici dialoghi tra gli innumerevoli ‘soggetti’ che ci compongono. Assai più inconsueto è immaginare uno scenario in cui sia possibile per noi umani accedere ai linguaggi altrui, metterci in ascolto, e imparare da altre creature (ben più esperte e anziane di noi!) ad assumere modi di essere e di agire meno distruttivi di quelli che abbiamo praticato finora in questa rete di interdipendenze nella casa planetaria comune.

Sono in corso da ormai da anni alcune ricerche che potremmo definire esempi di un nuovo approccio alla  conoscenza scientifica: dopo la ricerca oggettiva, quella ‘situata’, quella post-normale… quella che propone David Walter Toews è relazionale e immaginativa: essa si pone in alternativa alla visione meccanicistica e frammentata dell’approccio riduzionista, utilizzando una varietà di metodi per integrare la salute di persone, altri viventi, e interi ecosistemi.

In un luogo che si chiama Pianpicollo Selvatico, nell’Alta Langa – è in corso un esperimento in cui protagonisti e protagoniste stanno imparando a conoscersi e a comunicare, costruendo una nuova interpretazione del mondo attraverso la riflessione condivisa e attraverso l’esperienza personale diretta.   Alice, che partecipa a questa  sperimentazione, scrive occasionalmente qualche appunto  per farne memoria. Ne trascrivo alcuni stralci .

Insieme a me, sono residenti stanziali a Pianpicollo alcuni animali tradizionalmente di cascina. In questo momento, 4 galline e due galli, due maiali, due asine e tre cavalli. Sono arrivati qui in dono, qualche volta in emergenza, attraverso incontri e storie diverse, spesso difficili…..

A Pianpicollo non hanno più una vita funzionale, non vengono mangiati e messi al lavoro. Sono liberi di muoversi nella vallata durante il giorno e rientrano, in orari diversi, nei rifugi di varie forme e misure che li ospitano per la notte.

Conduco con loro una sorta di esperimento, di reciproca cura e trasformazione.

Tendo a osservarli, a stare con loro senza uno scopo particolare, al di là delle mansioni di pulizia quotidiana. Sento la loro presenza come vita in una forma, in qualche modo accessibile, eppure altra da me. La sera prendo nota di alcuni dei pensieri e degli eventi del giorno.

Foto: pianpicollo.org

[…] 13 marzo 2021 (Baldo e Poldo sono due maiali). Attraversano la legnaia coperta e si avvicinano al confine con la strada. Baldo si ferma e annusa la situazione. Sente l’odore del ghiaccio, vedo che lo sta mappando per capire se e dove può passare. Lo osserva col naso. Ho letto che i maiali hanno il senso dell’olfatto 20 volte più sviluppato di quello dei cani. Annusano gli imprevisti, gli eventi, il passare del tempo. Torna indietro. Poldo lo osserva. Nella legnaia trova della paglia, la mette in bocca. Penso che se la mangi e invece no. Torna al confine e la sparge sul ghiaccio, dove è più sottile. E ci cammina sopra.

Trasformare la propria relazione con l’ambiente e con gli altri viventi sostituendo alle usuali dinamiche di controllo un atteggiamento creativo e dialogico – sostiene Alice  – non solo è un modo per opporsi ai processi distruttivi che stanno minando il mondo, ma innesca un processo di trasformazione reciproca che favorisce il proprio benessere, oltre all’altrui.

La trasformazione della scienza e la nonviolenza

La lettura del libro citato all’inizio – sulle prospettive di genere nella scienza – mi ha appassionata e mi ha stimolata ad approfondire i temi e a cercare collegamenti, fino a trovare un filo conduttore comune e qualche suggerimento per questi tempi difficili.  La scienza tradizionale, maschilista e oggettivante, orientata a esercitare il potere per dominare e sopraffare, dovrebbe/potrebbe lasciare spazio a nuovi modi di conoscere il mondo. La condivisione dell’impresa scientifica con le donne, e con le componenti minoritarie e sfruttate della società, ha effetti equilibratori sul piano dell’equità. L’inclusione degli/delle stakeholder nell’affrontare questioni controverse, in cui vengono espressi interessi e valori in conflitto, favorisce l’esercizio della democrazia.

Porsi in ascolto delle altre creature con le quali condividiamo la biosfera è un atteggiamento nonviolento che promuove relazioni di cooperazione e di cura. Infine, per intrecciare in modo armonioso le nostre vite nell’estrema complessità delle interdipendenze spazio-temporali la creatività e l’immaginazione sono componenti indispensabili per contrastare la deriva violenta di questo triste periodo storico.

Nella produzione di conoscenza scientifica, nell’insegnamento a scuola e all’università, nelle applicazioni tecnologiche si aprono affascinanti opportunità di resistenza nonviolenta e di costruzione della pace.

Note:

[i] Citata da Elisabetta Donini. Prospettive di critica femminista della scienza e di ecologia radicale

[ii] Funtowicz S. & Ravetz J. Uncertainty, complexity and post-normal science, Environmental Toxicology and Chemistry, Vol. 13, No. 12, pp. 1881-1885, 1994.

[iii] Alba L’Astorina, Cristina Mangia e Alessandra Pugnetti (a cura di) Scienza, politica e società: l’approccio post-normale in teoria e nelle pratiche. Collana SCIENZIATI IN AFFANNO? – I, 2022, CNR.

[iv] Scienza post-normale: il nostro futuro. La scienza post-normale tra intuizioni originarie e prospettive future. In “Alba L’Astorina et al.”

[v]  Animalia (una collana dell’Editore Adelphi), e Animot, una rivista semestrale che esplora il tema dell’animalità alla luce degli Animal Studies, sono due delle numerose opportunità offerte a lettori e lettrici per entrare in relazione con altr* protagonist* della rete della vita.

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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.

 

 

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