(Italiano) Johan Galtung, il mio maestro
ORIGINAL LANGUAGES, 26 Feb 2024
Erika Degortes – TRANSCEND Media Service
– Il 17 febbraio, intorno alle 8 del mattino, si è spento serenamente Johan Galtung dopo una vita straordinaria, animata da uno spirito di missione a cui non è mai venuto meno, neppure negli ultimi giorni. Aveva 93 anni.
Le ultime parole che ricordo, nella nostra ultima conversazione, sono state «ricordati di lavorare sodo per la pace, perché nel mondo ci sono persone che lavorano in direzione uguale e contraria».
Johan è stata una persona scomoda, per niente accomodante neanche con gli amici e i collaboratori più stretti. È stato un pilastro del nostro tempo, un intellettuale militante, ma per me è stato un maestro inflessibile e un amico amorevole, un uomo che mi ha trasmesso, non solo con la sua visione chiarissima delle dinamiche dei conflitti, ma soprattutto col suo stile di vita, che il metodo TRANSCEND è un modo di vivere. Con la sua lotta, non solo di penna, ha segnato il solco degli studi e soprattutto della pratica della pace.
Ho conosciuto Johan Galtung da neolaureata in Filosofia, quando, ancora indecisa sul mio futuro professionale, ho iniziato a interessarmi di conflitti, mediazione, nonviolenza. Tutte parole che mi attraevano ma che, per me, rimanevano prive di un solido sostrato teorico. È stato Nanni Salio, allora Presidente del Centro Studi “Sereno Regis” di Torino, che mi incoraggiò con semplici parole. «Se davvero vuoi sapere cosa è un conflitto, devi studiare con Johan Galtung».
Da allora ho iniziato a studiare i suoi scritti e a seguire le sue conferenze e, in ogni possibile occasione, a porgli domande che mi hanno permesso di comprendere a fondo la sua metodologia, condensata nel metodo TRANSCEND, e alle quali rispondeva con gioia e con moltissimi dettagli non solo in inglese ma anche nel suo “italiano vichingo”, che negli anni ha sempre voluto coltivare per non dimenticare «una lingua che amo molto». Nel maggio 2011, insieme a lui e ad altri colleghi, abbiamo deciso di inaugurare l’Istituto Galtung per la teoria e la pratica della Pace, in Germania, quello che lui stesso ha definito «l’ultimo progetto di questo tipo della mia vita».
Nei quasi quindici anni che ho trascorso al suo fianco Johan non mi ha mai “insegnato” qualcosa ma ha sempre condiviso con me la sua esperienza trasmettendomi in ogni istante la sua smisurata speranza, il suo ottimismo, il suo irrefrenabile senso dell’umorismo ma anche la sua lucidissima capacità di analisi e soprattutto il coraggio di dire sempre la verità perché «non ci vuole coraggio a dire che il treno va da Roma a Milano: si vede e lo vedono tutti!».
Però ora, riflettendo, forse sì, tre cose me le ha insegnate col suo esempio: il potere dell’impegno personale, una ferrea disciplina quotidiana e un’incrollabile volontà di costruire la pace. Sì, perché la pace si costruisce, non viene da sola. Lavorare per la pace è un lavoro rigoroso, di ricerca costante e approfondimento e la trasformazione del conflitto non è qualcosa che si studia sui libri una volta e per sempre, è un allenamento costante, uno stile di vita.
Cercare di riconoscere in anticipo le cause, le manifestazioni e le conseguenze della violenza, siano esse culturali, strutturali o dirette, al fine di essere maggiormente in grado di prevenire il dolore, la miseria, i traumi e i cicli di vendetta che prevedibilmente si generano.
Il suo esempio quotidiano è stato di estrema coerenza e onestà intellettuale: Cercare sempre di vedere un conflitto “dall’alto”, riconoscere gli attori, i loro obiettivi, le loro contraddizioni. Compresi se stessi, sì, «perché anche tu potresti essere parte di un conflitto e potresti aver bisogno di un aiuto esterno».
Le nostre conversazioni non riguardavano solo la geopolitica ma anche e direi, soprattutto, la vita quotidiana:
«Cerca di essere imparziale. Prova a vedere te stesso, o alcuni lati di te con la stessa chiarezza con cui vedi gli altri. E non vergognarti se anche per questo potresti aver bisogno di aiuto».
Imparare a considerare i propri obiettivi e quelli degli altri a riconoscere quali sono i mezzi e i fini che vengono messi in campo imparare cosa è legittimo – legale, compatibile con i diritti umani, con i bisogni umani fondamentali – cosa non lo è, è un esercizio costante che richiede un profondo dialogo con se stessi e con gli altri.
Ma questo è solo il lavoro preliminare, è qui che si apre la finestra della creatività, il vero contributo che tutti noi possiamo dare alla pace positiva, a quella progettualità congiunta che porta benefici -equi- per tutte le parti coinvolte. Quali sono quei piccoli cambiamenti che possiamo fare per arrivare al massimo della collocazione degli obiettivi legittimi di tutti e al loro assestamento?
«Metti in atto quella visione. E se non funziona, riprova! Ancora… e ancora… La perseveranza è la chiave».
La pace inizia da vicino, da noi e da come decidiamo di vivere la nostra vita.
Ti rivedo ora Johan, nel tuo ambiente ideale, seduto al tuo tavolo, sempre al lavoro, che canticchi sottovoce, vedo i tuoi occhi risplendere di fronte a un’intuizione tua o dei tuoi interlocutori, sempre pronto a raccogliere nuovi stimoli, a incoraggiarci, a condividere i tuoi pensieri su realtà difficili e contradditorie, animatore di intensi dialoghi – con quel tuo stile magistrale – sempre lì ricordarci che la lotta nonviolenta per costruire una società più giusta avrà successo, ma ci vuole tempo. Tu ci hai fatto vedere la tenacia e la perseveranza necessarie per portarla avanti!
Grazie Johan.
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Erika Degortes è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, lo Sviluppo e l’Ambiente, rappresentante di TRANSCEND Italia, co-fondatrice del Galtung-Institut (Germania) e ex direttrice di TRANSCEND Peace University-TPU.
Tags: Biography, Johan Galtung, Obituary
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