(Italiano) Revisione: Libri-Palestina, metafora del mondo, nel dono della legge

ORIGINAL LANGUAGES, 23 Dec 2024

Enrico Peyretti – TRANSCEND Media Service

Roberta De Monticelli, Umanità violata. La Palestina e l’inferno della ragione, Laterza, settembre 2024, pp. 243

16 dicembre 2024 – L’Introduzione è intitolata L’apocalisse di Gaza. Questo libro «è un saggio di filosofia, nato durante un viaggio nella terra dove tre religioni riconoscono alle Tavole della legge mosaica un’origine divina» (p. 3). «Della questione palestinese si può dare une lettura storico-politica e una lettura “filosofica”». La prima applica il pensiero post-coloniale al caso Palestina. La lettura “filosofica” (che è di questo libro) è metafora del mondo, e ha come simbolo le Tavole della legge, e come filo conduttore la doppia polarità: alta, “divina”, e bassa, “ferina” (o nazionale-tribale) (pp. 19-20 ).

L’Autrice vede nella tela del Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, l’immagine sia del mondo pre-giuridico, sia del dono della legge: la mano dell’angelo che ferma l’omicidio. A Gerusalemme, la moschea di Omar, dalla cupola d’oro, poggia sulla roccia dove Abramo stava per sacrificare il figlio. Io ho tastato quella roccia, nel marzo 1967. Quell’immagine rappresenta il groviglio della storia umana: l’uomo arcaico e l’angelo della legge. Se il primo affonda il coltello, «uccide insieme, in noi, l’umanità e la legge» (p. 5). Nel cuore di quella terra e di quella tragedia impari la verità morale più preziosa e commovente: la sola cosa irreparabile dell’ingiustizia è che la verità dei fatti sia ignorata. Ci sono filosofie della storia che rimuovono la dimensione etica, quel faticoso districare, filo per filo, il bene dal male (cfr p. 30). E cita la sentenza di Simone Weil (ebrea che detesta il Dio degli eserciti): «La verità fugge spaventata dal campo dei vincitori» (Weil, Quaderni, III, p. 198). E ancora Simone: «Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male». E cita Pina Pinelli: «Giustizia è che tutti sappiano la verità» (pp. 29-31).

I primi due capitoli del libro tentano quel districare l’intreccio di bene e di male. Almeno sciogliere l’anima, prima di poter produrre una soluzione politica. Tra gli incontri di quel viaggio, il pozzo della Samaritana (vangelo di Giovanni, 4), dove «la legge si svincola da ogni radice di sangue e terra per cercare una sorgente nell’anima di ognuno» (p. 34). Non manca in questo libro filosofico ciò che manca di solito nei commenti più diffusi, cioè l’attenzione alla resistenza nonviolenta, dagli scritti di Aldo Capitini, alle esperienze popolari palestinesi (pp. 42, 109-112), per esempio con Marwan Barghouti, il Mandela palestinese, da Mandela riconosciuto (p. 222).

Il terzo capitolo rende conto di molti incontri e discussioni durante il viaggio in Palestina e Israele, sul fenomeno della rimozione, sul sistema dell’invisibilità, sulla questione della parresia, o del dire la verità, sui sionismi e il pensiero de-coloniale, sul male assoluto e il Giorno della Memoria, sull’antisemitismo, sullo stato “ebraico” di Israele, sull’espansione continua e sull’apartheid, sulla questione del genocidio.

Resta un orizzonte di speranza? L’ «altissimo muro che strozza la stessa Betlemme» (dove io ho fotografato la mia mano poggiata sul Muro, come nella speranza di abbassarlo) sembra negare la «memoria del diritto», a cui l’Autrice associa il volto di Munther Amira, resistente nonviolento, che ha scritto Dal cimitero dei vivi (la prigione israeliana) (pp. 220-21). Non è tutto perduto. C’è un orizzonte di speranza: «La patria non è soltanto terra, ma terra e diritto insieme» (Mahmoud Darwish, p. 223). La soluzione auspicata è uno stato binazionale fondato sui diritti umani universali, «eguali di tutti i suoi cittadini, ebrei e non», e possibilità di ritorno, o almeno di riparazione (p. 222).

«L’umanità stessa è stata violata e sfigurata», se si cancella la distinzione radicale tra la violenza senza vincolo di legge (come quella di Hamas del 7 ottobre), e la violenza esercitata da uno stato di diritto, vincolato alla legge e al diritto internazionale. Se cade questa differenza, cosa resta dell’idea stessa di diritto? Il diritto è «questa grandiosa invenzione umana a metà strada tra la forza e la giustizia, è questo vincolo della civiltà che, sciolto, la rovescia nella guerra». «Nella cancellazione di questa differenza fra violenza bruta e violenza vincolata nei ceppi della legge, consiste lo stato mentale che precede ogni guerra umana (…): la guerra è l’opposto della vita civile» (p. 8). Allora l’umanità è violata e la ragione è all’inferno.

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Enrico Peyretti è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e del Centro Studi Sereno Regis.


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