(Italiano) Nucleare silenziato… ma non domato
ORIGINAL LANGUAGES, 27 Jan 2025
Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service
TPNW): armi immorali, illegittime e illegali. Ebbene: nonostante l’evidenza che le armi nucleari costituiscono una minaccia crescente per l’umanità e per tutti i viventi del nostro pianeta, qualcuno ancora propone l’uso del nucleare! Ma ora il Trattato ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento.
– Il 22 gennaio 2025 si festeggia il quarto anniversario dell’entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (Strettamente legata alla produzione di ordigni nucleari, la filiera del nucleare civile sta tornando di moda, con la proposta di costruire e installare ‘piccoli’ reattori diffusi sul territorio, cercando di convincere il pubblico che la manipolazione dell’uranio sia esente da rischi, controllabile, persino ‘sostenibile’!
L’articolo che segue – che scrivo in occasione del quarto anniversario del Trattato di proibizione delle Armi Nucleari – ha un duplice scopo: (a) ringraziare quella parte della società civile che per tanti anni si è impegnata per conseguire questo straordinario risultato, e (b) contribuire a diffondere sempre più conoscenza e consapevolezza sulle implicazioni della filiera dell’uranio e della inevitabile interdipendenza tra impiego civile e impiego militare.
Salvarsi dalla minaccia nucleare?
La nascita dei rifugi antiatomici iniziò con la diffusione delle armi nucleari. La Guerra Fredda in particolare diede il via alla “corsa ai bunker antiatomici”, tant’è che in alcuni paesi la loro costruzione divenne una normativa obbligatoria. In un articolo pubblicato nel 2023 sul sito di Altreconomia si apprende che la costruzione di bunker antiatomici è stata incoraggiata dagli Stati Uniti e da altri governi durante la Guerra fredda per dare ai civili un (falso) senso di sicurezza di fronte alla minaccia esistenziale della guerra nucleare.
La guerra in corso tra Ucraina e Russia, con le minacce di ricorrere all’uso di armi nucleari e con gli incidenti che hanno coinvolto la centrale atomica di Zaporižžja, ha fatto riemergere le preoccupazioni di molte persone sull’eventualità di incidenti nucleari e sull’opportunità di prendere iniziative per difendersi. Costruiti in profondità sotto terra i bunker antiatomici sono dei rifugi capaci di schermare le radiazioni, evitando la contaminazione, e di proteggerci in caso di esplosioni nucleari. Di recente si sono moltiplicati i siti che forniscono dettagliate informazioni sulle tecniche di costruzione di rifugi sotterranei dotati di sistemi di purificazione di acqua e aria, e in grado di proteggere i suoi abitanti da radiazioni nucleari.
Esistono ditte che progettano e realizzano bunker antiatomici con tecnologia svizzera, personalizzabili in base alle esigenze. Perché svizzera? Perché in questo minuscolo Paese sono presenti circa 370.000 rifugi, risultato di norme che da molti decenni impongono che quando si costruisce una casa nuova si costruisca anche un rifugio antiatomico sottostante. In Italia, invece, stando alle informazioni raccolte presso lo Stato Maggiore della Difesa, non esistono bunker antiatomici pubblici attivi, vi sono invece numerosi rifugi antiaerei risalenti alla Seconda guerra mondiale, disseminati su tutto il territorio. Spesso si presentano bunker e i rifugi antiatomici come l’unica speranza di salvezza da un conflitto nucleare su vasta scala. Ma quanto è affidabile l’affermazione che queste strutture siano in grado di garantire la sopravvivenza all’annientamento?
Un mito da sfatare?
Dopo tanti anni, e dopo l’enorme aumento di potenza raggiunto dalle armi nucleari, incoraggiare le popolazioni civili ad affidarsi ai bunker costituisce un inganno ancora più grande che nel secolo scorso, facendo apparire la guerra atomica come possibile e sopportabile, e giustificando così l’approvvigionamento o la produzione di armi nucleari da parte dei governi. Per contrastare l’idea di potersi proteggere dalla minaccia nucleare costruendo dei rifugi, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) a luglio del 2023 ha pubblicato un fascicolo intitolato “Debunking nuclear bunker”, nel quale ha analizzato e decostruito i miti più diffusi legati ai rifugi.
Il testo, dopo aver sottolineato nell’introduzione che le armi nucleari rappresentano un’enorme minaccia per l’umanità, e che i bunker nucleari non potranno mai affrontarle completamente, presenta alcune domande che vengono poste sui bunker nucleari, e propone delle risposte. Eccone un esempio.
Cosa succede dopo un’esplosione nucleare se ci si trova in un bunker? Anche se un bunker cittadino potesse resistere alla forza di un’arma nucleare, l’estesa distruzione (la palla di fuoco immediata, il calore e l’onda d’urto, seguiti dalle ricadute radioattive) e la mancanza di una sollecita risposta umanitaria o sanitaria renderebbero del tutto improbabile la sopravvivenza. […] Affidarsi ai bunker per proteggere la vita umana in caso di guerra nucleare non è una strategia realistica.
Documentazione storica e simulazione digitale
Un contributo importante alla documentazione sugli eventi relativi ai bombardamenti delle due città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki è stato pubblicato nel 2021 da uno storico statunitense, Alex Wellerstein: “Restricted Data: The History of Nuclear Secrecy in the United States” (University of Chicago Press). Professore di studi scientifici e tecnologici, Wellerstein ha messo a frutto anche le sue competenze di programmatore informatico per creare un progetto digitale di simulazione di esplosioni nucleari, liberamente accessibile al pubblico, nukemap.
Scegliendo il luogo da bombardare e la potenza dell’ordigno da utilizzare, è possibile vedere su una mappa l’estensione e la gravità dei danni provocati. Dal 2012 ad oggi il sito è stato visitato da milioni di visitatori, che hanno complessivamente simulato 359 milioni di bombardamenti! L’Autore sta mettendo a punto diversi altri progetti digitali, tra cui un videogioco e un simulatore di guerra nucleare open source. Tutti questi saranno accessibili su Doomsday Machines, un blog sull’immaginario post-apocalittico nella realtà e nella finzione. Su questo blog trova spazio anche una interessante storia dei rifugi atomici progettati negli ’60 del novecento, insieme alla musica di Bob Dylan!
I rifugi anti-atomici e la protesta artistica del secolo scorso
“Let Me Die in My Footsteps” è una canzone che fu scritta da Bob Dylan nel Febbraio del 1962, qualche mese prima della crisi missilistica cubana [1].
In una successiva intervista Dylan affermò che la canzone gli era stata ispirata diversi anni prima, mentre guardava la costruzione di un rifugio anti-aereo: “Stavo attraversando una città e stavano costruendo questo rifugio appena fuori, una di quelle cose tipo Colosseo, e c’erano operai edili e tutto il resto. Sono stato lì per circa un’ora, solo a guardarli costruire, e ho scritto la canzone nella mia testa allora, ma l’ho portata con me per due anni finché finalmente non l’ho scritta. Mentre li guardavo lavorare, mi ha colpito il fatto curioso che si concentrassero così tanto sullo scavare una buca sottoterra quando c’erano così tante altre cose che avrebbero dovuto fare nella vita. Se non altro, potevano guardare il cielo, camminare e vivere un po’, invece di fare questa cosa immorale”.
La canzone di Dylan proponeva un’alternativa, contrapponendo le tombe di cemento a un’esistenza di natura e vita: “Lasciami bere dalle acque dove scorrono i torrenti di montagna – Lasciami sentire l’odore dei fiori selvatici scorrere liberi nel mio sangue – Lasciami dormire nei prati tra le foglie verdi dell’erba – Lasciami camminare lungo la strada con mio fratello, in pace. Lasciami morire lungo i miei passi, prima di andare sottoterra”.
A hard rain’s A-Gonna Fall è un’altra canzone di Bob Dylan che viene segnalata nel sito delle ‘Doomsday Machines’: un altro grande successo degli anni ’60 del secolo scorso, segue uno schema abbastanza semplice, in cui una voce chiede all’altra dove è stato, cosa ha visto, cosa ha sentito, chi ha incontrato e cosa farà ora. E il nocciolo della questione è nelle risposte, ognuna delle quali è un frammento di un mondo oscuro e terrificante, che forse prefigura un mondo post-atomico…
“Oh, cosa hai visto, figlio mio dagli occhi azzurri? Oh, cosa hai visto, mio caro giovane? Ho visto un neonato circondato da lupi selvaggi – Ho visto un’autostrada di diamanti senza nessuno sopra – Ho visto un ramo nero con sangue che continuava a gocciolare Ho visto una stanza piena di uomini con i loro martelli sanguinanti – Ho visto una scala bianca tutta coperta d’acqua – Ho visto diecimila chiacchieroni con la lingua rotta – Ho visto pistole e spade affilate nelle mani di bambini piccoli”… La canzone fu eseguita durante la consegna del Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan da Patty Smith, che andò a ritirare l’onorificenza a nome suo.
Oggi: la favola del nucleare ‘sicuro’
I primi anni che seguirono ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, e il lungo periodo in cui furono eseguiti test atomici in atmosfera, furono caratterizzati da una grande segretezza sugli eventi avvenuti e sulle loro conseguenze. Ma ormai la documentazione sui danni provocati dalla produzione e dall’uso di armi nucleari è ampiamente (anche se faticosamente) disponibile. Ai disastri umani e ambientali causati dai bombardamenti si sono aggiunti negli anni i risultati degli effetti delle conseguenze mediche di test nucleari, di incidenti avvenuti in centrali nucleari, di patologie sviluppate nelle miniere di uranio e nelle vicinanze dei depositi di scorie radioattive…
È evidente l’impossibilità di ‘rimediare’ alle conseguenze di un disastro nucleare, eppure persiste l’impegno di governi e gruppi di potere industrial-militari a tenere nascoste le devastanti implicazioni dell’uso delle sostanze radioattive. Non solo: mentre le conoscenze ormai a disposizione avrebbero dovuto convincere tutti i governi a bandire qualunque utilizzo dei radionuclidi in tutto il pianeta, si assiste addirittura a una ripresa dell’idea che siano accettabili e perseguibili sia l’opzione militare sia l’opzione civile dell’uso dell’uranio.
Attualmente il governo italiano sta proponendo con enfasi la tecnologia SMR (Small Modular Reactors), che prevede la costruzione di piccoli reattori nucleari di potenza non superiore a 300 MW, detti modulari perché assemblabili con diversi componenti (moduli) direttamente in fabbrica, anziché in situ con cantieri di grandi dimensioni. Al di là delle discussioni sugli aspetti economici, politici e finanziari dei piccoli reattori, non bisogna distogliere l’attenzione dal fatto che si tratta di impianti che utilizzano la fissione nucleare per la produzione di energia: eppure nei dibattiti che si stanno moltiplicando sui media, e nelle iniziative promosse dal governo e dalle industrie, la parola ‘radioattività’ compare assai poco!
Una filiera planetaria e senza scadenza temporale
Una strategia sempre più spesso utilizzata per impedire alle persone di farsi un’idea articolata e approfondita dei problemi complessi, rispetto ai quali occorre esprimere un giudizio e prendere posizione, è quella di frammentare e semplificare, nascondendo o eliminando le interconnessioni tra i molteplici aspetti di uno stesso problema. Uno degli esempi più evidenti questa strategia, tanto grossolana e ingannevole quanto – purtroppo – efficace, è quello della separazione tra nucleare civile e nucleare militare.
Anche tra chi si oppone all’uso delle armi nucleari si trova qualcuno che non è contrario alla scelta dell’opzione nucleare come fonte energetica, trascurando l’inestricabile connessione tra i due impieghi. La filiera dell’uranio comprende molte tappe: dall’esplorazione mineraria, l’autorizzazione e l’avvio dello scavo in miniera, il prelievo di materiali si passa alle fasi di commercializzazione, al trasporto e alla lavorazione industriale. Poi la filiera temporaneamente di divide in due: da un lato i processi per la costruzione di reattori nucleari per la produzione di energia ad uso civile; dall’altra i processi (militari e segreti) per l’impiego bellico.
La filiera dell’uranio si ricompone nella fase finale: il problema dello smaltimento del combustibile esausto e delle scorie radioattive è un aspetto drammatico e finora insolubile di tutta la tecnologia dei radionuclidi, sia a uso civile che militare.
Ed è anche uno degli aspetti più critici che rendono problematica la scelta di produrre energia elettrica con i piccoli reattori nucleari. In uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Accademy of Sciences (PNAS), intitolato “Nuclear waste from small modular reactors”, alcuni scienziati hanno analizzato la gestione e lo smaltimento dei flussi di rifiuti nucleari che sarebbero prodotti dagli SMR, confrontandoli con i reattori più grandi già in uso. Questi studiosi hanno messo in luce un aumento di volume e di complessità chimica delle scorie prodotte dagli SMR, che implicherebbero un ulteriore onere per lo stoccaggio, l’imballaggio e lo smaltimento geologico dei rifiuti. Inoltre le scorie radioattive sarebbero disperse sul territorio: sarebbe necessario prelevarle da una molteplicità di luoghi, traportarle in luoghi sicuri (dove?), e smaltirle (come?).
Misteri e creatività della natura
Gli scienziati continuano a studiare quali potrebbero essere le strategie più efficaci e sicure per smaltire le scorie radioattive prodotte nei processi di manipolazione dei radionuclidi. Dalla progettazione dei primi ordigni atomici (1945) ad oggi non è stata avanzata alcuna proposta attendibile né raggiunto qualche risultato risolutivo: il nostro pianeta continua ad accumulare prodotti radioattivi che emettono radiazioni incontrollate; molte comunità umane, ambienti naturali e vasti ecosistemi terrestri e marini ne sono contaminati, spesso a loro insaputa.
I rischi persistenti e le nuove sfide dei materiali nucleari sono il tema di una serie di saggi introduttivi pubblicati sull’ultimo numero del Bollettino degli scienziati atomici (gennaio 2025). Uno (Contenimento di scorie nucleari in vetro e ceramica: la battaglia scientifica) riguarda il confronto tra diversi gruppi di scienziati, impegnati nella ricerca di individuare quale sia la migliore opzione per immobilizzare e smaltire i rifiuti nucleari ad alta attività. Le prime prove risalgono agli anni ’70 del Novecento, ma nonostante oltre 50 anni di ricerca sulla sicurezza dello smaltimento geologico dei rifiuti radioattivi, la comunità di ricerca non ha ancora raggiunto una chiara comprensione su come si possano rendere sicuri i depositi geologici e garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi dall’ambiente per un tempo molto lungo.
L’altro articolo (Come le ricadute radioattive di Fukushima a Tokyo sono state nascoste al pubblico) riguarda alcune ricerche – tuttora in corso – per ricostruire gli eventi che si erano verificati in due reattori della centrale di Fukushima durante l’esplosione avvenuta nel marzo 2011. Sulla base dei primi dati raccolti risultò che nei campioni di aria raccolti nell’area di Tokyo la concentrazione di cesio 137 – un elemento radioattivo con emivita di circa 30 anni, che può causare ustioni e malattie gravi – era inferiore alla soglia di allarme prevista per una esposizione prolungata.
Ma due anni dopo, nella zona di esclusione attorno alla centrale di Fukushima si scoprì la presenza di un nuovo tipo di microparticelle altamente radioattive, che erano state espulse dai reattori di Fukushima e contenevano concentrazioni estremamente elevate di cesio 137. Solo negli anni successivi, grazie alle indagini del Prof. Satoshi Utsunomiya, un radiochimico ambientale, si scoprì che queste particelle erano presenti anche nei campioni di filtri dell’aria raccolti a Tokyo dopo l’incidente di Fukushima. Le implicazioni di questa scoperta (in prossimità della realizzazione dei Giochi Olimpici) indussero le autorità e le grandi imprese tecno-industriali a impedire la pubblicazione dei risultati: il Prof. Satoshi fu accusato di irregolarità, i suoi risultati furono contestati, e vennero ridotti i finanziamenti per proseguire la sua ricerca.
Attualmente – nel 2024 – le particelle di Cesio scoperte da Satoshi sono ben caratterizzate. Queste particelle, delle dimensioni di pochi micrometri e insolubili in acqua, tendono ad accumularsi, formando degli aggregati che ne contengono molte, e sono stati trovati all’interno e all’esterno di edifici abbandonati nella zona di esclusione di Fukushima e in altri luoghi. Sugli effetti dell’interazione di queste particelle con i viventi (in particolare dell’inalazione da parte di soggetti umani) non si sa ancora nulla: non si trovano i fondi per approfondire l’indagine. Perciò la creatività della natura, che nello straordinario e unico contesto dell’esplosione dei reattori di Fukushima ha prodotto una realtà nuova e inaspettata sul nostro pianeta, non ha ancora attirato la dovuta attenzione per le potenziali conseguenze sulle creature – umane e non umane – nelle aree in cui si è dispersa, tra cui Tokyo (37 milioni di abitanti).
Documentarsi e divulgare: un impegno civile
Nonostante il persistente impegno dell’apparato tecno-industrial-militare e dei governi nell’indirizzare i/le cittadin* verso scelte collettive irresponsabili e insostenibili, è comunque possibile accedere a libri, documenti, film, testimonianze che consentono al pubblico di acquisire sufficienti conoscenze, e di sviluppare adeguate competenze per opporsi all’ utilizzo dei materiali radioattivi, sia in campo militare che in campo civile. Il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari vieta agli Stati di sviluppare, testare, produrre, realizzare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare gli armamenti nucleari, o anche permettere alle testate di stazionare sul proprio territorio.
Ottenuto grazie all’impegno e alla determinazione di persone e di associazioni, come l’ICAN (che per questo risultato è stato insignito del Premio Nobel per la pace), dimostra le potenzialità della società civile nel contrastare scelte irrazionali e pericolose imposte dai potenti. Riportare la parola ‘radioattività’ nel dibattito pubblico, far conoscere le molteplici implicazioni che accompagnano la filiera nucleare in tutte le sue tappe (compreso il nucleare civile) può essere un impegno a cui tutti/e possono partecipare. Uno strumento efficace per organizzare azioni collettive può essere la diffusione di filmati, che nel corso degli anni si sono raccolti e presentati al pubblico grazie all’Uranium Film Festival.
Uranium Film Festival
L’International Uranium Film Festival (IUFF) è dedicato a tutte le questioni nucleari e all’intera filiera del combustibile nucleare. Questo festival cinematografico unico al mondo è stato fondato nel 2010 a Rio de Janeiro e si è svolto per la prima volta nel maggio 2011. Da allora, ogni anno organizza delle presentazioni in varie città del mondo, proponendo di volta in volta anche nuove pellicole che – con documentari, testimonianze, immagini, video, cartoni animati, inchieste – illustrano situazioni collegate con la radioattività. Il festival è dedicato a tutti i film sulla storia e i rischi dell’energia nucleare e della radioattività: dall’estrazione dell’uranio alle scorie nucleari, dalle bombe atomiche agli incidenti nucleari, da Hiroshima a Fukushima, da Marie Curie a Robert Oppenheimer. Quest’anno si svolgerà in due sedi: a Rio de Janeiro in maggio, e a Berlino in ottobre.
Nessuno ha mai presentato in Italia il Festival. Sarebbe una buona occasione formare un piccolo gruppo di persone disponibili a esplorare le possibilità di organizzarne uno a Torino! Se qualcun* è interessat* a intraprendere questo percorso può scrivere a givepeaceascreen@serenoregis.org.
Nota
[1] Non me ne andrò sotto terra
solo perché qualcuno mi dice che la morte è prossima
E non me ne andrò a testa bassa a morire
Quando andrò alla tomba ci andrò a testa alta
Lasciatemi morire sui miei passi
prima di finire sotto terra
(http://www.maggiesfarm.eu/testiL/letmedieinmyfootsteps.htm)
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.
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Tags: Atomic Weapons, Nuclear Abolition, Nuclear Weapons Illegal, Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons TPNW
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