(Italiano) Dal mare altre brutte notizie per Cina, Usa, Germania e Italia
ORIGINAL LANGUAGES, 16 Mar 2020
Jack Cambiaso | IlSussidiario - TRANSCEND Media Service
Dopo un mese intero di emergenza da coronavirus il peggio sembra dover ancora arrivare dal punto di vista economico
11 Mar 2020 – Ecco che si è concluso il primo intero mese d’emergenza da coronavirus, quindi è il tempo di tirare un po’ di somme. Ormai sembra piuttosto chiaro che le conseguenze saranno gravi più dal punto di vista economico che sanitario. E meno male, direte giustamente, chi non metterebbe la salute al primo posto? Potremmo anche aggiungere che la crisi sanitaria passerà di certo più velocemente di quella economica. Un concentrato di buone notizie quindi? Non esattamente, infatti, per usare una metafora convincente che aiuti a mettere a fuoco la situazione in cui ci troviamo, vorrei richiamare la nave più famosa del mondo, il Titanic. La sua storia la conoscete tutti, quindi mettiamola così, se il coronavirus è l’iceberg, la crisi economica rischia d’essere l’epilogo successivo alla collisione. Quindi giusto rallegrarsi se si sopravvive all’impatto, ma senza sottovalutarne le inevitabili implicazioni!
Tornando ai primi segnali di quello che ci aspetta nei mesi a venire, oltre gli scossoni borsistici degli ultimi giorni, può essere illuminante volgere uno sguardo al settore dei trasporti, in particolare quelli marittimi. In fondo il 90% delle merci trasportate globalmente si muove per mare fornendo a questo mercato un ottimo ruolo per misurare la rotta dell’economia. La prima cosa che l’epidemia ci insegna attraverso lo Shipping è piuttosto disarmante nella sua semplicità: il coronavirus non fa prigionieri. Con questo intendo dire che non c’è praticamente un singolo settore marittimo che sia stato risparmiato da questo imprevedibile cigno nero.
Seconda lezione, non necessariamente per importanza, la sua parabola è decisamente in ascesa, quindi un contesto ancora in peggioramento. Entrambe le cose sono perfettamente incarnate dalla situazione portuale che colpisce qualunque tipo di nave e dove si registra l’intensificazione delle problematiche. In precedenza avevamo parlato delle complicazioni derivanti da una provenienza o destinazione cinese, quando escludere la Cina come potenziale porto d’approdo oggi risulta decisamente difficile. Nel migliore dei casi significa perdere qualche ora per verificare il buono stato di salute dell’equipaggio, con congestione del traffico o problemi d’imbarco-disimbarco di personale. Nulla di troppo drammatico a patto di non risultare infetti, pena una quarantena che oltre a mancati guadagni significa un costo vivo di migliaia di dollari al giorno. Tuttavia in certi porti si è arrivati anche a rifiutare l’approdo a seguito di un recente passaggio nei porti del dragone, e ora di altri Paesi infetti, inclusa l’Italia, imponendo 14 giorni di quarantena.
A questi rallentamenti dei traffici e congestioni portuali va a sommarsi la semiparalisi dei cantieri navali, uno dei settori dove la Cina primeggia, risultati colpiti violentemente dal coronavirus con svariate altre navi più o meno intenzionalmente ferme in attesa di fare necessari lavori di manutenzione. La situazione appena descritta crea un paradosso che potrebbe risultare non poco fuorviante per chi non è del settore, ovvero l’inversione di tendenza del Baltic Dry Index. Infatti, le navi portarinfusa, dopo aver raschiato il barile nelle scorse settimane, hanno visto una piccola positiva inversione di tendenza che potrebbe fornire un’illusoria buona notizia. In realtà, non c’è stata nessuna ripresa della domanda in questo mercato, ma una riduzione dell’offerta per le suddette ragioni. Quindi, nessun incremento dei volumi, solo meno navi disponibili per trasportarli.
A tal proposito temo che se Wall Street ha potuto anche celebrare il rinnovato interventismo della Fed, difficilmente il settore primario americano troverà ragione d’unirsi ai festeggiamenti. Infatti, le notizie attuali fanno sembrare il famoso accordo “Phase One” del presidente Trump esattamente quello che molti già pronosticavano quando veniva annunciato e ben prima che arrivasse la temuta pandemia: un flop totale fatto di promesse irrealizzabili. Gli esportatori americani di soia già faticavano a veder crescere la domanda cinese in linea con le promesse da prima della pandemia e per colpa di un altro virus, quello della meno famosa peste suina. Nella seconda metà dello scorso anno approssimativamente la metà se non i tre quarti dei maiali cinesi d’allevamento erano stati abbattuti o morti a causa di questo grave morbo. Sfortuna vuole che sia proprio la soia il loro principale alimento e che ora sia arrivata questa quarantena nazionale a peggiorare l’ennesimo contesto già abbastanza compromesso di suo.
Per restare in tema di BDI, la domanda cinese di minerale ferroso nel mese di gennaio, quindi anche qui pre-coronavirus, secondo la Bimco aveva già segnato un -19% rispetto allo stesso mese del 2019. Sempre secondo la stessa fontem la crescita della domanda globale del Dry nel 2020 era stimata tra 1,5 e 2,5% prima dell’epidemia, ottimistica rispetto a quella registrata nel 2019 dell’1,1%. Questi buoni auspici erano prevalentemente legati al buon esito dei negoziati tra Usa e Cina, quindi sarebbe ragionevole metterli in dubbio visti gli inaspettati nefasti sviluppi. Aggiungerei che la statistica parla di una forte correlazione tra BDI e volumi del commercio globale, un qualcosa che dovrebbe far riflettere sulle ottimistiche previsioni sia di ieri che di oggi.
Sempre per rimanere in tema d’accordo commerciale Phase One e per completare il quadro ora guardiamo cosa succede sull’altro fronte dei trasporti marittimi, quello energetico, quindi petrolio e metano. Negli accordi stipulati era previsto che la Cina comprasse addizionali prodotti energetici per un valore di 18,5 miliardi di dollari quest’anno e ben di 34 miliardi l’anno prossimo. Bene, complice un inverno più mite del previsto, il venire meno delle sanzioni su alcuni player primari del mercato, principalmente il colosso cinese Cosco, e soprattutto all’impatto del Coronavirus, l’indice di riferimento delle petroliere, il Baltic Dirty Tanker Index (BDTI) dall’inizio dell’anno è calato di quasi il 50%. In realtà, nonostante la flessione e precedenti aspettative deluse, questo mercato tutto sommato non se la passa male in termini di noli, anche perché aiutato comunque dalla stagionalità. Non solo, ci si aspetta e magari si spera che passata l’emergenza ci sia un rimbalzo dovuto alla corsa di riapprovigionamento. C’è anche il potenziale sblocco delle esportazioni dalla Libia, insomma la possibilità nel medio breve di vedere una sorta di movimento a V per i guadagni delle navi cisterna non sembra troppo remota.
Le vere brutte notizie, però, arrivano dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) con previsioni cupe per la domanda globale di petrolio. Per il primo trimestre ritengono che si registrerà una contrazione, la prima da più di 10 anni, mentre per l’anno in corso le loro previsioni di crescita sono state riviste al ribasso di un terzo. Se confermata sarebbe la più bassa dal 2011 e molti analisti fanno previsioni decisamente più negative, alcune prossime allo zero. Oggi la stessa Agenzia dovrebbe aggiornare le sue stime, vedremo se queste previsioni di febbraio saranno confermate o riviste ulteriormente in peggio.
Alle poco incoraggianti prospettive di crescita economica associate a un mercato energetico depresso ci sarebbero altre pericolose implicazioni sconosciute ai più che vanno oltre le inverosimili promesse cinesi dell’accordo Phase One, in gioco potrebbe esserci ben di più. Premessa necessaria, grazie alla nuova tecnologia estrattiva di petrolio e gas di scisto gli Usa sono passati dall’essere i più grossi importatori di petrolio al mondo a essere esportatori netti in meno di un decennio. Chi li ha sostituiti come primo importatore è stata la Cina, quella che ora registra un calo di domanda del 20% circa, come recentemente riportato da Bloomberg, causando una prolungata debolezza del barile. Stiamo parlando della stessa Cina che solo a dicembre polverizzava il record assoluto d’importazioni del 2005 detenuto dagli Usa. E nel bel mezzo di questo shock di domanda ora ne arriva uno anche sull’offerta a causa della rinnovata guerra sulle quote di mercato scatenata da russi e sauditi. Un doppio problema per gli americani visto che la loro nuova realtà estrattiva si è fin qui rivelata tutt’altro che fruttifera risultando insostenibile con il barile depresso, un settore dove i veri record sono stati d’indebitamento e bancarotte. Un’altra situazione regressa che va avanti dal 2015, ma la brutta notizia è la sua nuova accelerazione nel 2019, quindi ben prima dell’attuale contesto emergenziale. Sarà sufficiente l’interventismo della Fed a tenere a galla questo super indebitato settore colpito dall’onda lunga del coronavirus?
E se il petrolio piange, il metano non ride. Infatti, le metaniere o come vengono comunemente chiamate navi LNG (Liquefied Natural Gas) sono passate da un nolo giornaliero di 130.000 dollari di fine ottobre agli attuali 37.000. Praticamente livelli da disarmo, l’estrema ratio per un armatore. D’altra parte il prezzo del gas naturale sta testando minimi in questo momento che non si vedevano dal marzo del 2016. E pensate che le sanzioni Usa al Nord Stream 2 erano arrivate ben prima che la situazione prendesse una piega così drammatica, cosa si potrebbero inventare ora pur di sventarne la minaccia? Come se la Germania non avesse già abbastanza problemi tra record di crollo vendite auto in Cina per il mese di febbraio e la rinnovata minaccia migratoria balcanica.
Ultima nota sul mercato crociere, che purtroppo ci tocca da vicino avendo 2 porti nella top 20 e addirittura 5 nella top 50 da cui transitano più di 6 milioni di turisti l’anno. Secondo Wells Fargo, al momento le prenotazioni si attestano a circa zero per il presente e per il secondo trimestre dell’anno approssimativamente il 50% delle prenotazioni sono state cancellate per essere riprenotate nel terzo inoltrato. Oltre al danno per l’indotto questo potrebbe fornire una spiegazione per l’andamento del titolo della nostra Fincantieri che tocca minimi di tre anni fa. A fronte di questo bel quadretto invece di contare Quantitative easing e tagli dei tassi forse dovremmo preoccuparci di come vengono utilizzati. La Cina ha annunciato 500 miliardi per investimenti in infrastrutture, sanità, istruzione e altro, per citare un esempio. Da noi per un requiem, quello della Green Economy.
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