Dal 22 gennaio 2021, le armi nucleari diventano illegali
Nel 2017, con il voto favorevole di 122 paesi, le Nazioni Unite hanno adottato il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, nel quale vengono dichiarati illegali gli arsenali nucleari; nello stesso anno è stato assegnato il Nobel per la Pace a ICAN, la coalizione di 599 organizzazioni non governative promotrici del testo del Trattato approvato.
Il 24 ottobre 2020 è stata raggiunta la 50a ratifica del Trattato, necessaria a farlo entrare in vigore dopo 90 giorni; Il 22 gennaio 2021 entrerà quindi in vigore il Trattato ONU sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW).
ICAN, insieme a numerosi altri gruppi della società civile impegnate per la realizzazione di un mondo libero dalle armi nucleari, ritiene che l’entrata in vigore del TPNW segni un evento storico, un momento in cui inizia formalmente il percorso verso un definitivo disarmo nucleare multilaterale. Sono sempre più numerosi i singoli cittadini e cittadine, le pubbliche amministrazioni, le associazioni, i governi… impegnati a collaborare per incoraggiare ad aderire al Trattato quegli Stati che si sono finora opposti.
L’Italia non ha partecipato né alle fasi di approvazione, né alla ratifica del Trattato.
Tra COVID, cambiamento climatico e minaccia nucleare
Appare sempre più problematico individuare le scelte più corrette ed efficaci per affrontare gli effetti diretti e indiretti della sindemia smascherata dal COVID-19, in cui si intrecciano aspetti economici, sociali, ambientali su cui le nostre capacità di controllo sono modeste. Ancora più problematico appare cercare di controllare i cambiamenti climatici in atto: i sistemi naturali, perturbati dal crescente impatto umano, hanno ormai messo in atto trasformazioni globali di portata, dimensioni ed esiti a noi totalmente ignoti. L’umanità potrà cercare di adattarsi, mentre la vita – come sua abitudine – fiorirà evolvendo in nuove forme e invenzioni.
Diverso è il caso della minaccia nucleare: piccoli gruppi di persone, grazie a un potere politico, economico e militare sempre più esteso e incontrollato, hanno costruito in meno di un secolo una quantità e varietà di armi di devastante potenza, in grado di distruggere completamente la Terra, l’insieme di substrati e forme di vita che nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato quella straordinaria rete di interconnessioni e interdipendenze che l’hanno resa ‘speciale’. Madre Terra, Gaia, Pachamama sono alcuni dei suoi nomi. La situazione è estremamente allarmante, ma – a differenza dei problemi sopraelencati – sappiamo che cosa occorre fare.
Come, su scala individuale, condanniamo l’omicidio, e su scala collettiva condanniamo il genocidio, su scala globale dobbiamo condannare la produzione, l’immagazzinamento, il commercio e l’uso di armi nucleari. Le società civili di tutto il mondo sono chiamate a dichiarare illegali questi strumenti di distruzione di massa, e a imporne l’abolizione.
Che il 22 gennaio 2021 segni il risveglio dell’umiltà e del buon senso, e veda estendersi e affermarsi la volontà collettiva di mettere la parola fine all’era nucleare. La strada sarà lunga: si dovrà far prevalere la volontà dei popoli; si dovranno smantellare e decontaminare migliaia di siti. Ma non c’è dubbio che sia l’unica strada da intraprendere. La gravissima crisi che stanno attraversando gli Stati Uniti rendono ancora più urgente una decisione rapida e definitiva.
Allarme degli esperti, incompetenza, inerzia, indecisione dei politici…
In questi ultimi anni sono stati pubblicati numerosi articoli volti a richiamare l’attenzione dei decisori pubblici, dei politici, della società civile sulla situazione – incredibilmente pericolosa – che si è venuta a creare in questi lunghi decenni in cui, mentre non esplodevano ordigni nucleari in condizioni di guerra aperta, si costruivano tuttavia le premesse per un disastro nucleare globale. Oltre alla costruzione e all’ ‘ammodernamento’ (cioè l’aumento di potenza e di gittata) di armi nucleari, il moltiplicarsi di Paesi in grado di fabbricare armi nucleari, la crescente instabilità politica dello scacchiere mondiale hanno moltiplicato le possibilità di incidenti, di imprevisti, di errori…
Making America less
Si potrebbe tradurre con ‘ridimensionare l’America’ questo commento pubblicato il 2 settembre 2019 dalla ricercatrice Rose McDermott su una rivista del gruppo ‘Nature’. La McDermott richiama l’attenzione dei lettori su un articolo pubblicato sulla stessa rivista, che mette in luce come i commenti pubblici e i tweets di Trump che denigrano donne, minoranze, migranti e altri gruppi emarginati siano diventati ormai un’abitudine. Tuttavia, in parallelo si è registrato un aumento concreto della violenza contro molte minoranze, maltrattamenti di immigrati, restrizioni sui diritti delle donne. Gli Autori dello studio suggeriscono che è il sentimento di unità con il leader, che chiamano “fusione di identità”, a orientare la volontà da parte dei seguaci di danneggiare politicamente e materialmente gli oppositori politici: gli immigrati, ma non solo loro. La parte più interessante dell’articolo – anche alla luce dell’attualità – riguarda la misura in cui il beneficio psicologico che la gente trae dalla sua ‘fusione di identità’ con Trump potrebbe favorire il grado di affiliazione con altri follower. Se così è, un leader potrebbe facilmente coordinare azioni violente attraverso i social network: non offrendo loro solo un orientamento, ma sostenendo, incoraggiando e giustificando tali azioni criminali attraverso la manipolazione dell’identità sociale. È passato poco più di un anno… e le previsioni si sono purtroppo avverate!
Ma è solo di questi ultimi giorni l’allarme lanciato dalla speaker democratica della Camera USA, Nancy Pelosi, che sollecita il generale Miller, principale leader militare della nazione, a impedire a un presidente instabile di avere accesso ai codici nucleari.
L’insopportabile leggerezza della fortuna
Il delirio di potere che ha spinto una piccola minoranza dell’umanità, per generazioni, a imporre la costruzione, l’immagazzinamento e addirittura la messa in stato di allerta di ordigni così devastanti è accompagnato da una cinica mancanza di responsabilità: chi sta nelle stanze del potere infatti sa che solo la fortuna – che dura da ormai da tre quarti di secolo! – ci ha finora salvati/e dalla catastrofe.
Già in un articolo del 2017 il ricercatore Benoit Pelopidas, fondatore del programma Nuclear Knowledges presso il Centro di studi internazionali di Sciences Po a Parigi, sottolineava che l’eccessiva fiducia nella capacità di tenere sotto controllo gli armamenti nucleari è fonte di pericolo. Dopo aver passato in rassegna i limiti di predittività e di controllabilità di eventi passati, in cui incidenti nucleari potenzialmente catastrofici sono stati evitati per un soffio, l’Autore esponeva alcune ragioni per cui – a suo parere – sarebbe essenziale analizzare a fondo le dinamiche degli incidenti evitati, per rendersi conto dei limiti di conoscenza e di controllo sugli armamenti nucleari. Acquisire consapevolezza di ciò dovrebbe essere il primo passo per avviare un dibattito sulle scelte di riarmamento in corso: dibattito che includa preoccupazioni strategiche, politiche, etiche. In particolare – sottolineava l’Autore – occorre mettere in discussione l’idea che la presenza di armi nucleari agisca come efficace deterrente, indotto dalla paura: soprattutto di fronte all’evidenza che in questi 75 anni l’uso di armi nucleari è stato scongiurato grazie alla fortuna, non alla volontà o al controllo.
Le riflessioni di Beloit Pelopidas sono state di recente espresse anche a un pubblico meno specializzato: in un articolo scritto insieme allo storico Alex Wellerstein, il 10 agosto scorso ha pubblicato sul Washington Post inquietanti considerazioni sul ruolo che la fortuna ha svolto nell’evitare disastri nucleari. I due Autori passano in rassegna alcuni casi, sottolineando che si tratta di poche circostanze, non perché siano stati rari i casi, ma perché le informazioni sugli incidenti nucleari avvenuti e scongiurati sono scarse, e per lo più secretate. Ma leggiamo qualche brano.
La ‘fortuna’ di Kokura
Il mattino del 9 agosto 1945 la città di Nagasaki, in Giappone, fu devastata da una singola bomba atomica, fatta esplodere dai militari USA. Nagasaki non era l’obiettivo originario per la bomba, quel mattino: lo era invece Kokura, una cittadina più a nord, che fu risparmiata solo perché una serie di contrattempi fecero sì che l’aereo Bockscar arrivò al suo obiettivo con parecchie ore di ritardo. Quando l’aereo arrivò a destinazione il cielo di Kokura era nuvoloso e c’era foschia. Fu una fortuna per Kokura – che fu risparmiata… ma non per Nagasaki.
Le narrative del controllo totale
Le agenzie e le organizzazioni che gestiscono arsenali e depositi nucleari tendono a far proprie le narrative di un controllo totale. Ci rassicurano, sostenendo che le armi nucleari hanno un eccellente livello di sicurezza, che la deterrenza nucleare impedirà che scoppi una guerra atomica, e che le enormi spese che si affrontano per costruire ordigni che potrebbero uccidere milioni e milioni di persone non sono solo una buona idea, ma sono anche necessarie per mettere al riparo un mondo in cui queste armi non saranno usate. […]
Ma i contro-esempi storici mettono in discussione quel messaggio: si tratta degli incidenti nucleari evitati per poco, di testate nucleari arrivate a un passo dall’esplodere, non solo negli Stati Uniti, come l’incidente avvenuto a Goldsboro, nel Nord Carolina, ma anche in territorio straniero (come l’incidente avvenuto a Palomares, in Spagna); di situazioni in cui i sistemi di allerta di U.S.A. e Unione Sovietica non funzionarono, e informarono erroneamente che era iniziato un attacco nucleare.
Dunque, abbiamo evitato esplosioni nucleari non volute, e una guerra nucleare, grazie una adeguata gestione e controllo delle armi e delle crisi… oppure solo grazie alla fortuna?
Più fortuna che controllo: l’hanno ammesso i protagonisti
La fortuna, in questo contesto, sembra significare l’esatto opposto di ‘controllo’. E’ stata proprio la sorte a impedire esiti negativi quando le cose potevano facilmente andare in direzione opposta, anche se nessuno lo voleva. La crisi dei missili a Cuba è stata superata – secondo l’opinione degli stessi soggetti coinvolti – grazie alla fortuna: lo dichiarò lo stesso McNamara, anni dopo, in un’intervista a Errol Morris: «Alla fine ce la siamo cavata con la fortuna. È stata la fortuna a prevenire la Guerra nucleare».
Tra i politici che hanno citato la ‘fortuna’ si trovano Robert S. McNamara, segretario alla difesa durante la crisi dei missili a Cuba; Dean Acheson, a quel tempo inviato speciale del Presidente John F. Kennedy; l’ambasciatore Gerard C. Smith, capo delegato U.S. ai colloqui per la limitazione delle armi strategiche nel 1969. E ancora altri personaggi di primo piano nello scenario mondiale, come William Perry, George Shultz, Henry Kissinger, Sam Nunn, il generale George Lee Butler.
Incidenti
Il 24 gennaio 1961 un bombardiere B-52 si spezzò in volo nei pressi di Goldsboro, nel Nord Carolina, lasciando cadere due bombe atomiche: durante la caduta, ad una di esse si avviò il processo che avrebbe portato all’esplosione. Fu solo un interruttore di sicurezza, che rimase sulla posizione corretta, a impedire l’esplosione di quella bomba, che era 250 volte più distruttiva di quella sganciata a Hiroshima. In altri incidenti, che si rivelarono meno gravi, quell’interruttore era invece scattato.
L’incidente avvenuto nella notte del 15 settembre 1980 è stato analogo. Il motore No. 5 di un bombardiere B-52 presso la Base Aerea di Grand Forks nel North Dakota prese fuoco, e nonostante l’intervento dei pompieri continuò a bruciare per più di tre ore. Solo un forte vento, che tenne le fiamme lontane dal vano dove erano alloggiate le bombe, impedì che il fuoco arrivasse agli ordigni. […] A evitare il disastro ci fu il concorso di tre variabili che non avevano nulla a che fare con le pratiche di controllo: la presenza prolungata di vento forte, il fatto che il vento non cambiò direzione in quelle ore, e il fatto che l’aereo era parcheggiato nella posizione ‘giusta’ rispetto alla direzione del vento.
Qualche spunto per approfondire
Aggiornare i libri di storia
I bombardamenti di Hiroshima and Nagasaki furono necessari per costringere i giapponesi alla resa, e consentirono di accelerare la conclusione della guerra? Molte persone credono ancora di si: secondo loro l’America scelse il minore dei mali. Ciò è quanto emerge da un sondaggio realizzato nell’ottobre del 2019, che coinvolse circa 7.000 soggetti (dai 18 anni in su) intervistati in Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Svezia, Turchia e Regno Unito. Questa convinzione rimanda all’intensa campagna messa in atto subito dopo la fine della guerra dai politici e militari USA, e soprattutto dall’allora Segretario di guerra Henry Stimson, che in un articolo pubblicato nel 1947 su «Harper’s Magazine» (The Decision to Use the Atomic Bomb) sostenne che i comandi USA stimarono che i bombardamenti avrebbero potuto uccidere centomila giapponesi, ma avrebbero messo gli americani e i loro alleati al riparo da una orribile invasione da parte dei giapponesi, con il rischio di più di un milione di morti – contando solo le vittime tra le forze americane.
La ‘narrativa’ di Stimson fu in seguito criticata, sia per gli aspetti quantitativi, sia perché non menzionava le varie alternative al bombardamento che – pur possibili – non erano state prese in considerazione. Come si può leggere in un interessante articolo di Alex Wellerstein, in parte tradotto per il sito del CSSR, gli Americani ancora oggi pensano a questioni di vitale importanza rifacendosi alla narrativa di allora: i fini giustificano i mezzi, gli obiettivi appropriati della guerra sono la vittoria sui nemici, e in generale l’uso della forza è lecito e appropriato. Purtroppo, da un sondaggio svolto in Europa nel 2019, anche gli europei sono rimasti legati a quell’interpretazione: molti pensano ancora che l’uso degli ordigni nucleari fu il male minore, e questo influenza anche le loro idee sulla situazione attuale.
Un passo importante per superare questa falsa interpretazione, e per imparare a prendere in esame una varietà di possibili alternative, è un compito importante dell’educazione: come allora esistevano molteplici scelte, che sono state scartate e poi nascoste all’opinione pubblica, così adesso ci sono molteplici alternative allo schieramento di forze nucleari contro il ‘nemico’ in funzione di deterrenza. Ma bisogna renderle esplicite, farle conoscere, coinvolgere la società civile e soprattutto i giovani nel dibattito e nelle scelte.
Comunque, nonostante persista ancora l’idea che i bombardamenti atomici siano stati ‘necessari’, il pubblico europeo si sta orientando sempre più a favore di un progressivo disarmo nucleare.
Due studiosi hanno di recente pubblicato un articolo in cui presentano gli esiti di un sondaggio nel quale si chiedeva a quasi 7.000 cittadini (europei e turchi) se secondo loro se si sentivano protetti dalla presenza di armi nucleari, e se era o no desiderabile eliminare tutte le armi nucleari dal mondo entro i prossimi 25 anni.
Come emerge da un recente sondaggio di Greenpeace Italia, ben il 79% degli italiani chiede che le testate nucleari americane sul suolo italiano siano ritirate. Ancora, il 79% chiede lo smantellamento degli arsenali nucleari mondiali e l’81% ritiene che l’Italia dovrebbe aderire al TPNW.
Le scelte che riguardano gli armamenti nucleari impegnano popolazioni e società per decine di anni, e possono spazzarle via nel giro di minuti. Ma come vengono prese queste decisioni? Sono ormai quasi tutte morte le persone che sono state testimoni di bombardamenti atomici; non vengono realizzate consultazioni pubbliche, e pochi sono anche gli studi sulle possibili preferenze delle società civili. C’è però una novità: un programma di ricerca, Nuclear Knowledges, il primo proposto In Francia per indagare in modo sistematico gli aspetti storici, istituzionali, concettuali del tema ‘nucleare’, ha ricevuto dal 2017 dei finanziamenti europei, e ha intrapreso una indagine globale approfondita che intende mettere in luce quali scelte sono state finora ritenute pubblicamente accettabili, dopo la messa al bando dei test nucleari.
Le domande di ricerca alle quali il programma intende dare risposta riguardano:
- Le categorie intellettuali a cui facciamo riferimento quando riflettiamo su queste problematiche
- L’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano la gestione della conoscenza sul nucleare da parte delle istituzioni preposte
- Azioni e tendenze del passato che possono rappresentare lezioni da imparare nelle nuove progettazioni
- Una rassegna di futuri possibili immaginati, contrapposti a quelli ritenuti utopici.
Combinando la ricerca di archivio e interviste realizzate in tutto il mondo, eseguendo sondaggi di opinione e analisi dei linguaggi e delle prospettive presentati da strateghi e responsabili politici e militari per molti decenni, si intende mettere in luce il potere ‘accecante’ di categorie mentali create diversi decenni fa e talvolta ancora considerate come lessico insostituibile dell’era nucleare.
Sulla base dei risultati emersi in questo programma di ricerca, si intende offrire una rinnovata nozione di responsabilità nell’era nucleare, costruita sulla piena consapevolezza delle vulnerabilità nucleari nelle loro dimensioni epistemiche e politiche, e non solo in quelle materiali.
Simulare per capire
Nel 2012 Alex Wellerstein creò NUKEMAP, una simulazione online che propone agli utilizzatori di scegliere un luogo geografico, scegliere un tipo di ordigno nucleare, e premere poi un bottone rosso con la scritta “esplodi” per vederne I devastanti risultati. Nel 2017 NUKEMAP aveva già registrato circa 113 milioni di esplosioni, provate da persone di tutto il mondo. In un’intervista rilasciata al Bulletin of Atomic Scientists Wellerstein spiega come mai questo suo strumento è risultato così popolare; sottolinea la necessità di sviluppare una migliore difesa civile, e spiega come gli scienziati potrebbero favorire un cambiamento culturale.
Uranium – film da vedere
L’International Uranium Film Festival è stato istituito nel 2010 a Rio de Janeiro, ed è stato successivamente ospitato in molti diversi Paesi, dalla Germania al Portogallo, dall’India agli Stati Uniti. Si tratta dell’unico festival cinematografico con scadenza annuale che richiama l’attenzione del pubblico verso tutte le problematiche che riguardano nucleare e radioattività: la filiera del combustibile nucleare, le bombe atomiche, le miniere di uranio, le centrali atomiche, i depositi di scorie radioattive. Da Hiroshima a Fukushima e oltre.
Sul sito del Festival si legge: «Documentari, film e animazioni sono il mezzo più efficace per diffondere informazioni sull’energia nucleare e sulla radioattività, un pericolo invisibile che non ha colore, odore, sapore. […] L’Uranium Film Festival è un progetto per non dimenticare, per non ignorare».
L’archivio dell’Uranium Film Festival è ormai molto vasto, e viene arricchito ogni anno da nuove proposte. Dalla storia delle esplosioni nucleari prodotte a titolo sperimentale alle animazioni sui bambini di Fukushima che non possono giocare all’aperto; dalla ricostruzione dell’incidente nucleare a Palomares, in Spagna, alla denuncia dei danni causati dalle miniere di uranio in Australia .
Abita from Uki Uki Studio on Vimeo.
Di alcuni film sono accessibili i trailer, altri sono visibili a costi modesti. Gli organizzatori sono disponibili a organizzare cicli di proiezioni su richiesta.
Particolarmente toccante è una breve animazione – Ground zero / Sacred ground – realizzata da una giovane artista, Karen Aqua, la cui vita si spense mentre era ancora nel pieno della vita.
Animation by Karen Aqua from Ken Field on Vimeo.
Nella regione centro-meridionale del New Mexico, un sito di arte rupestre scolpito da artisti nativi americani si trova a 35 miglia dal luogo in cui fu fatta esplodere la prima bomba atomica della storia. Dalla giustapposizione dei luoghi emerge il contrasto tra due mondi: uno che riverisce e vive in armonia con il mondo naturale, l’altro che, nel tentativo di esercitare il controllo sulle forze della natura, ha costruito gli strumenti per la sua distruzione.
Film Music from Hilary Burt on Vimeo.
Il 17 gennaio 1966, sopra il cielo della Spagna, a 10.000 metri di altezza un’aerocisterna e un bombardiere strategico B-52 dell’aeronautica militare USA entrarono in collisione. L’aereo trasportava quattro bombe termonucleari Mark 28 (modello B28RI) da 1,5 megatoni ognuna, lunghe 1,5 metri e larghe 0,5 metri, da 800 kg ognuna. Due di esse rimasero intatte: una terza cadde in terra e l’altra in mare. Non esplosero ma si spezzarono, contaminando l’area circostante. L’evento fu raccontato nel documentario Broken Arrow. Nuclear Accident in Palomares, di José Herrera Plaza, premiato all’Uranium Film Festival del 2019.
L’attualità – L’inizio della fine delle armi nucleari
Il 7 luglio 2017, 122 paesi hanno votato a favore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. I paesi che non hanno armi nucleari ma che vivono sotto la loro minaccia hanno votato a favore del divieto.
Senza la consapevolezza della maggior parte dei loro cittadini, i governi delle potenze nucleari del mondo non hanno votato, eppure il divieto è andato avanti. Sta succedendo qualcosa di nuovo.
Un documentario di Alvaro Oruz per PRESSENZA, realizzato nel 2019, evidenzia gli sforzi fatti per trasformare il trattato per vietare le armi nucleari in legge internazionale e il ruolo della Campagna Internazionale per Abolire le Armi Nucleari, l’ICAN, è raccontato tramite le voci di attivisti di spicco di diverse organizzazioni e paesi oltre al presidente della conferenza ONU di negoziazione.
7 dicembre 2020. John Mecklin intervista Beatrice Fihn: Come rendere operativo il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari.
Abbiamo urgente bisogno di leader intelligenti, che capiscano come proteggere i loro popoli. E non si protegge spendendo centinaia di miliardi di dollari in armi. […] Non riusciremo mai ad azzerare gli arsenali nucleari finché pensiamo che siano necessari a proteggerci. Dobbiamo superare questa visione…
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.