Nel 2020 da un sondaggio di Greenpeace Italia risulta che l’80 per cento degli intervistati chiede che gli arsenali nucleari mondiali siano “smantellati”, che le testate statunitensi siano “completamente ritirate dall’Italia”, che i cacciabombardieri tricolore non siano impiegati per sganciare bombe nucleari e che il nostro Paese aderisca al Trattato per la proibizione delle armi nucleari.
I dati del sondaggio di Greenpeace in Italia non sono una novità. Nel 2017 sono stati pubblicati i risultati di una prima, vasta indagine realizzata nel 2015, in cui erano stati coinvolti 10.455 cittadini di 28 Stati dell’UE di età compresa tra 14 e 30 anni. Dai risultati emerge che l’assenza di mobilitazione delle generazioni più giovani non è indizio di un tacito sostegno alle politiche attuali, né di mancanza di preoccupazione sul tema: è invece espressione di un forte senso di impotenza, di incapacità a cambiare i risultati.
In tutta Europa la società civile esprime da tempo una forte contrarietà alla produzione e all’uso di armi nucleari, ma i governi continuano a investire su questi strumenti di morte, arrivando al paradosso – in pieno dramma da COVID 19 – di sottrarre risorse essenziali per la salute umana e ambientale per accrescere i finanziamenti militari. Eppure i nostri Paesi vengono considerati ‘democratici’…
Un’équipe di studiosi ha avviato da alcuni anni delle ricerche per capire alcune delle cause di questo paradosso. Alcuni dei risultati di questa ricerca potrebbero stimolare la ripresa di iniziative pubbliche anti-nucleari e motivare soprattutto i giovani ad agire: dai dibattiti nelle scuole e nelle università, fino alle grandi manifestazioni di piazza e alle denunce contro governi che sono sordi al volere della società.
Bisognerebbe ridare ai giovani la fiducia nelle loro possibilità di avere voce nelle scelte politiche, recuperando spazi di democrazia che sono stati sottratti.
IL PESO DI UNA NARRATIVA DISTORTA
Sebbene gli storici ormai da tempo abbiano messo in luce che la decisione di bombardare Hiroshima e Nagasaki non fu presa per abbreviare la guerra e costringere i giapponesi alla resa, ma per calcoli politici, molte persone credono ancora a quella interpretazione, proposta dagli americani subito dopo la fine della guerra. Questo risultato emerge da una recente indagine realizzata nel 2019 sulle opinioni europee a proposito delle questioni nucleari e dei bombardamenti atomici del Giappone. L’indagine ha coinvolto circa 7.000 intervistati dai 18 anni in su: il 52% degli intervistati ha espresso la convinzione che la guerra sia stata conclusa più rapidamente grazie ai bombardamenti atomici, e solo il 17% si è opposto a tale idea.
È emersa una correlazione positiva tra chi credeva che i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki fossero stati decisi allo scopo di concludere rapidamente la guerra e chi si è dichiarato contrario alle iniziative di disarmo. Una narrazione storica che è stata smascherata come falsa ha dunque ancora il potere di influenzare le opinioni del pubblico dopo tanti decenni!
L’IMPORTANZA DELL’INDAGINE STORICA
Sappiamo bene che le grandi narrative che vengono proposte / imposte dalle istituzioni e dai media sono in grado di influenzare in modo significativo l’orientamento dell’opinione pubblica. Per questo alcuni studiosi, soprattutto storici, sono impegnati da alcuni anni in una rigorosa indagine storica degli eventi che hanno accompagnato lo sviluppo dell’era nucleare, e delle informazioni che i responsabili del crescente complesso industrial-militare hanno fornito al pubblico per acquisire il loro consenso e/o limitarne le manifestazioni di dissenso.
La qualità e la serietà della ricostruzione storica degli eventi possono fornire degli indizi per capire l’evidente paradosso sopra citato: tre quarti degli europei si dichiarano favorevoli al disarmo nucleare, eppure da decenni ormai non si assiste più alle grandi manifestazioni antinucleari che dagli anni ’60 agli anni ’80 del 1900, videro decine di migliaia di persone scendere nelle piazze in Gran Bretagna, in Usa, in Germania, in Italia per esprimere il loro profondo dissenso verso le politiche pro-nucleari dei loro governi.
CONTROLLO O FORTUNA?
Dall’inizio dell’era nucleare sono stati fabbricate più di centomila armi nucleari. Più di 2000 sono state utilizzate per eseguire test: la potenza delle esplosioni ha dimostrato gli spaventosi e irreversibili danni che sono in grado di provocare ai sistemi naturali e alle comunità umane. Ma tale danno è niente a confronto di quello che potrebbero causare anche solo alcuni degli ordigni attualmente disponibili. La conoscenza del potenziale danno e la consapevolezza che armi nucleari potrebbero essere utilizzate in qualsiasi momento contro qualsiasi obiettivo in tutto il mondo dovrebbero provocare un senso di vulnerabilità in tutti noi: non esiste infatti un modo realistico per proteggerci dalle armi nucleari, a prescindere dal fatto che vengano utilizzate deliberatamente, inavvertitamente o accidentalmente.
Ma conoscenza e consapevolezza sono state sistematicamente silenziate da una potente narrativa che ha proposto lo scenario del ‘rischio controllato’: uno scenario illusorio, che una corretta ricostruzione storica potrebbe smascherare. Negli ultimi anni infatti diversi studi hanno chiarito il ruolo che la fortuna ha ripetutamente giocato nell’evitare disastri nucleari: alcuni sono ricordati in un articolo pubblicato sul sito del CSSR pochi mesi fa. Ma queste informazioni restano per lo più confinate alle associazioni e ai movimenti anti-nucleari, mentre vengono ignorate o censurate dai media controllati dal potere. E certo non vengono incluse nei programmi scolastici!
CRESCONO LE SPESE per la “SICUREZZA E LA STABILITA’”
A dimostrazione della mancanza di consapevolezza e dell’assenza di democrazia, leggiamo qualche recente notizia sul tema. La spesa militare italiana si attesta nel 2021 a poco meno di 25 miliardi di euro, secondo le stime anticipate dall’Osservatorio Mil€x. La crescita delle spese militari rispetto al 2020 è complessivamente significativa ed ammonta all’8,1%. Pesano in particolare i costi per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma: per la prima volta il totale complessivo destinato dall’Italia all’acquisto di nuovi armamenti supera i 7 miliardi di euro. In questa voce di spesa sono compresi anche i finanziamenti destinati alla produzione e ai sistemi di controllo di armi nucleari.
15 febbraio 2021: L’Italia si conferma il partner NATO con più bombe nucleari tattiche USA
L’Italia continua a essere il partner NATO che ospita il maggior numero di questi ordigni di distruzione di massa, ben 35, nelle basi aeree di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia).
Lo rende noto l’Istituto di Ricerche Internazionali IRIAD – Archivio Disarmo di Roma dopo la pubblicazione da parte del Bulletin of the Atomic Scientists di una ricerca sulle “Armi nucleari statunitensi”.
Il 22 gennaio scorso, in occasione dell’entrata in vigore del Trattato internazionale che proibisce le armi nucleari, il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio in una nota stampa afferma:
“[..] riteniamo che l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari possa essere realisticamente raggiunto solo attraverso un articolato percorso a tappe che tenga conto, oltre che delle considerazioni di carattere umanitario, anche delle esigenze di sicurezza nazionale e stabilità internazionale”
Attualmente le politiche dei governi dell’UE si basano sulla combinazione di alcune affermazioni che vengono presentate come se fossero veritiere e condivise:
- che esista una vulnerabilità nucleare, ma che sia accettabile come prezzo da pagare per evitare conseguenze anche peggiori della morte nucleare;
- che queste politiche esprimano la volontà dei cittadini, e che essi si sentano sicuri quando le armi appartengono ai loro stati o a stati alleati.
Entrambe le affermazioni sono false, e fanno parte di una potente narrativa che nega l’esistenza della vulnerabilità e non tiene conto dell’opinione dei cittadini.
Nel frattempo l’applicazione delle nuove tecnologie informatiche alla produzione e alla gestione dei sistemi militari, anche nel settore nucleare, aumenta la complessità della gestione e la probabilità di malfunzionamenti. Inoltre mette sempre più alla prova la capacità dei decisori di gestire, interpretare, verificare le informazioni e, alla fine, prendere una decisione sul nucleare, moltiplicando le incertezze e i rischi.
CAPIRE I FONDAMENTI DEL PARADOSSO
Le scelte compiute sugli armamenti nucleari vincolano popolazioni e società per decine di anni, e possono spazzarle via in una manciata di minuti. Ma come vengono prese le decisioni sulla disponibilità di armi nucleari? Non ci si può affidare all’esperienza diretta: nessuno ha partecipato a una guerra atomica. Non possono essere basate sulla volontà delle popolazioni, perché sono state consultate molto di rado, e sulle loro propensioni emerge comunque una evidente contrarietà alla produzione e all’uso di queste armi. Eppure sono pagate con le tasse dei cittadini, che si trovano loro malgrado coinvolti nelle responsabilità di tali scelte.
Una ricerca attualmente in corso, finanziata dall’Unione Europea, propone di indagare quali sono fondamenti che hanno portato a considerare accettabile dal pubblico la scelta di dotarsi di armi nucleari.
Si tratta di un programma di ricerca interdisciplinare che intende mettere in luce alcuni aspetti da cui dipendono le scelte politiche nel settore degli armamenti nucleari:
- Le categorie intellettuali da cui dipendiamo quando pensiamo a questi problemi
- La governance, cioè il controllo e la gestione della conoscenza sul nucleare esercitati da parte delle istituzioni
- Le narrative specifiche della storia passata, che individuano eventi o tendenze da cui si attinge per ricevere insegnamenti sulle opzioni da scegliere
- L’immaginario di futuri possibili in contrapposizione a quelli considerati utopici.
Combinando ricerche di archivio e interviste realizzate in tutto il mondo con sondaggi su larga scala e analisi del discorso di funzionari politici e strateghi per diversi decenni, gli autori del progetto si propongono di “mettere in luce il potere accecante / ingannevole di categorie create diversi decenni fa e talvolta ancora considerate come lessico insostituibile dell’era nucleare”.
DALL’ANALISI LINGUISTICA ALL’AZIONE
Come sta avvenendo nel caso dell’altra drammatica condizione in cui l’umanità si trova – le conseguenze delle perturbazioni provocate dalle attività umane sul sistema Terra – anche per il problema degli armamenti nucleari assistiamo a una sistematica manipolazione del linguaggio, una continua ‘reversificazione’. Con questo termine si intende un processo in cui certe parole – attraverso un processo di evoluzione e innovazione – finiscono per assumere un significato che è totalmente diverso, o addirittura opposto al significato originario.
La ‘crescita sostenibile’, il ‘controllo’ sui sistemi naturali, l’economia ‘circolare’, l’energia nucleare ‘pulita’, la ‘resilienza’ umana… sono alcuni dei termini che la narrativa dominante sta imponendo con forza per orientare l’enorme flusso di denaro in arrivo dall’UE.
Nel caso degli armamenti nucleari, la narrativa dominante sta esasperando e polarizzando la natura e le dimensioni del conflitto tra potenze, imponendo iniziative militari al di fuori delle regole democratiche, e indirizzando crescenti risorse economiche, materiali e umane a costruire l’idea del nemico. Nella grande esercitazione ‘Defender-Europe 21’ sono impegnati 28.000 militari degli Stati uniti, per ‘portare aiuto’ a 25 alleati e partner della Nato. Tra maggio e giugno in 12 paesi, tra cui l’Italia, si svolgono quattro grandi esercitazioni, con migliaia di soldati che si spargono in tutta Europa per esercitazioni a fuoco. Dal canto loro i russi nella regione artica e del Mar Nero hanno allertato esercito e marina per contrastare le sfide e le minacce e garantire la propria ‘sicurezza’.
Nemici – dall’una e dall’altra parte – così minacciosi da convincere le rispettive comunità della necessità di produrre nuove armi nucleari, facendo dimenticare che il loro uso sterminerebbe tutti – al di qua e al di là di qualunque confine…
Smascherare le finte narrazioni, ricostruire gli eventi storici, accettare la nostra vulnerabilità potrebbero essere i primi passi per coinvolgere i giovani e motivarli a organizzare forme estese e diffuse di opposizione e a costruire le premesse per un futuro liberato dall’incubo dell’olocausto nucleare.
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.