(Italiano) La teoria di Sigmund Freud e l’applicazione della teoria di Galtung sulla soluzione dei conflitti
ORIGINAL LANGUAGES, 26 Jun 2023
Antonino Drago | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service
– Come applicare l’A-B-C della teoria di Johan Galtung della soluzione non violenta dei conflitti. Il caso della teoria di Sigmund Freud sulla psicanalisi.
Riassunto. La definizione di Galtung di un conflitto come un A-B-C è del tutto generale. In particolare, si applica ai conflitti interiori trattati dalla teoria psicoanalitica di Sigmund Freud. Qui l’A-B-C di Galtung viene applicato sia al Paziente sia all’Analista durante l’interazione delle sessioni di analisi; in cui queste due triadi si fondono in un’unica triade in modo da rappresentare un’unica personalità che attraverso l’analisi elabora il suo conflitto interno. Questo caso dimostra che l’A-B-C va applicato a ogni attore del conflitto e che poi occorre esaminare le dimensioni corrispondenti dei vari attori.
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La teoria di Galtung della risoluzione non violenta de conflitti: quale dinamica?
La teoria della risoluzione non violenta dei conflitti di Johan Galtung rappresenta un grande avanzamento intellettuale perché ha superato le tante descrizioni dei conflitti in termini solo soggettivi e/o oggettivi; definendo un conflitto con la triade A-B-C ha qualificato questa teoria in termini strutturali: le tre dimensioni dell’interazione delle strutture anche intellettuali degli attori;[1]. Si può ben dire che egli, attraverso le definizioni di base e le prime rappresentazioni adeguate di un conflitto, ha fatto nascere la teoria della risoluzione non violenta dei conflitti.
La definizione di un conflitto come un A-B-C significa che un conflitto è composto di tre dimensioni. Poiché negli scritti di Galtung le loro definizioni possono cambiare, le ho fissate secondo le seguenti idee: A Assunzioni, B Comportamento e C Contraddizione interiore[2]. La natura triadica di un conflitto dà ragione dell’assenza di una teorizzazione occidentale su di esso. Sin dai tempi dei Greci, il pensiero occidentale si è limitato a concepire idee singole o al massimo due idee opposte (es. vero/falso, bene/male, minore/maggiore, amico/nemico, proletariato/borghesia, ecc.; delle quali una è destinata a prevalere sull’altra); mai ha concepito tre idee che si fondessero in un’unica idea (a parte l’idea della Trinità cristiana, sulla quale però le riflessioni sono inconcludenti a causa di alcuni ossimori irrisolti).
La definizione di Galtung copre tutti i tipi di conflitti, dalle guerre (ad esempio, la teoria di Clausewitz), ai conflitti sociali (ad esempio, la teoria della lotta di classe di Marx), ai conflitti interpersonali e ai conflitti interiori analizzati da Freud.
Ma qual è il processo dinamico di una risoluzione di un conflitto che sia cooperativa? Sono stati avanzati molti suggerimenti. Ad es., Galtung suggerisce di studiare un conflitto accumulando triadi A-B-C, con ogni triade caratterizzante complessivamente un aspetto del conflitto; ad esempio, violento, non violento, profondo, apparente, manifesto, ecc.
Tuttavia, poiché la definizione di un conflitto mediante una triade è di natura statica, le applicazioni delle triadi a tutti questi aspetti sono comunque utili, ma sono solo descrizioni di aspetti parziali e statici; non rappresentano l’aspetto più rilevante di un processo di risoluzione del conflitto, cioè la sua dinamica. Oppure, si analizza una sequenza temporale tra A, B e C (essendo questi tre elementi ordinati in un modo qualsiasi); ma così si descrive l’evoluzione del conflitto solo dall’esterno, perché il parametro tempo misura la successione degli eventi esterni al conflitto, non la relazione tra gli eventi interiori. Oppure, si applica a ogni attore una sola triade A-B-C e poi si confrontano due a due gli elementi corrispondenti delle triadi degli attori. L’esperienza di un gran numero di applicazioni di questi metodi non ha suggerito una decisione su quale di essi sia il migliore.
In realtà Galtung suggerisce un elemento della dinamica della risoluzione non violenta di un conflitto; egli indica che essa avviene per mezzo di una aggiunta[3]. Per spiegarsi suggerisce ad esempio, la famosa storia dei tre figli che ereditano diciassette cammelli, da dividere nelle proporzioni di ½, 1/3 e 1/9. Il rebus (di dividere ad es. 17 per 2) si risolve con l’aggiunta di un cammello, che al termine delle tre divisioni, può essere liberato, lasciando ai tre fratelli rispettivamente 9, 6 e 2 cammelli, la cui somma è esattamente 17. (Altro esempio è quello dei numeri negativi, che fanno risolvere i conflitti tra debitori e creditori). Poi, eliminando opportunamente l’aggiunta, si ritorna al sistema originario con la soluzione trovata.
Ma perché l’aggiunta? Perché un’aggiunta semplifica la ricerca della soluzione del problema; poi, eliminando l’aggiunta, si ritorna al sistema originario con la soluzione trovata. Tuttavia, Galtung parla di aggiunta, ma non la chiarisce in relazione al conflitto: cioè non dice in generale, dove essa deve essere collocata, né come può generare una dinamica propositiva.
Comunque nel caso di due attori in conflitto Galtung considera un’altra aggiunta, quella di una persona: il mediatore. In questo caso Galtung suggerisce un processo dinamico composto di una successione di passi, che vengono gestiti dal mediatore sulla base della fiducia che i due attori ripongono in lui. Ma i passi di questo processo non indicano aggiunte, a parte idee intelligenti che sono sicuramente utili per il mediatore. Pertanto, da come Galtung usa l’aggiunta, non è riconoscibile un metodo generale di Galtung (a parte la sequenza dei passi fissati per il mediatore).
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La teoria di Freud
Un secolo e mezzo fa, Sigmund Freud ha fatto attenzione terapeutica e teorica ai conflitti interiori umani. Ciò è stato un evento straordinario nella storia della società occidentale, che ha conosciuto molti conflitti, ma la sua cultura non è stata in grado di teorizzarli, cosicché i conflitti solitamente giungevano fino alla soppressione dell’avversario.
Rompendo una lunga tradizione di concezioni metafisiche sui conflitti interiori della persona, Freud ha iniziato una terapia operativa di questo tipo di conflitti. Vivendo in una società in cui la soppressione delle persone più deboli era considerata quasi una necessità sociale e l’elettroshock era una terapia comune dei malati mentali, il tipo di soluzione che egli ha suggerito era del tutto nuovo: una soluzione basata sul solo dialogo, quindi non violenta. Con ciò egli ha anticipato il metodo non violento di risoluzione dei conflitti, del quale il più alto evento storico è stato, decenni dopo, la lotta politica del movimento indiano diretto dai Mohandas K. Gandhi per l’indipendenza politica nazionale. Si noti che, dopo Freud, sono trascorsi vari altri decenni prima che un conflitto fosse definito in termini generali (cioè la definizione di Galtung).
Inoltre Freud ha introdotto una concezione con fluttua della persona; non più basata su divisioni dualistiche (anima/corpo): l’Es, luogo di pulsioni istintuali; il super Io che impone la sua visione del mondo e l’Io che media le pressioni anche contrastanti nel comportamento reale. Assieme alla teoria di Marx è la prima teoria occidentale che si basa sul conflitto ed è anche la prima, sempre con quella di Marx, a suggerire una triade di concetti di base (in Marx: Capitale, Borghesia, Proletariato).
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I ruoli del paziente e dell’analista secondo Galtung a Freud
Anche se Galtung non si rifà a Freud[4], nel seguito applicheremo la definizione di Galtung al caso, ormai ben studiato, del conflitto interiore che viene curato da uno psicoanalista. L’interazione Paziente-Analista sarà interpretata applicando a ciascuno di essi la triade A-B-C. Poi, gli elementi corrispondenti saranno confrontati a due a due secondo le caratteristiche del dialogo psicoanalitico.
Iniziamo dal Paziente. Le tre dimensioni di un conflitto, A-B-C, sono simili ai tre oggetti teorici descritti in modo “personificato” da Freud: rispettivamente, Super-Io, Io, Es. Nei primi due casi il parallelismo è evidente; nel terzo caso, C è il risultato complessivo delle pulsioni dell’Es che sono in contraddizione tra loro, o con il Super-Io e/o l’Io.
Consideriamo adesso la terapia di Freud. Egli aggiunge ad una persona in conflitto interiore (il Paziente) un’altra persona (l’Analista); in altre parole, raddoppia la persona che si prende cura del conflitto. Questa aggiunta dà la generalizzazione minima del sistema in termini di persone: è l’aggiunta di una sola persona.
Anche nel caso della terapia freudiana la aggiunta è finalizzata a facilitare la ricerca della soluzione del problema (la malattia). Una volta ottenuta la soluzione (la guarigione), il Paziente si accorda con l’Analista per terminare la sua interazione con lui.
Ma cos’è questa interazione? La terapia freudiana la razionalizza con il transfert tra Paziente e Analista. Per spiegarlo applichiamo la triade A-B-C di Galtung alla persona aggiunta. Allora dobbiamo pensare la interazione cooperativa dei due mediante un sistema, che, essendo a sei dimensioni, a prima vista sembra complicato.
Tuttavia, a un esame più attento la situazione è semplice. Nella teoria di Freud c’è una seconda aggiunta: in aggiunta al suo comportamento oggettivo il Paziente racconta all’Analista i suoi sogni. Questa aggiunta genera un dialogo così profondo tra i due attori da permettere all’Analista di interpretare la vita interiore del Paziente.
E’ da notare che la comunicazione verbale tra i due è molto squilibrata: mentre l’Analista è quasi silenzioso, il comportamento colloquiale del Paziente domina la loro interazione, creando molti argomenti di conversazione attraverso i quali le due persone interagiscono. Inoltre, mentre il contributo del Paziente è molto grande in quantità (raccontare sogni), ma solo occasionalmente è rilevante in qualità, il contributo dell’Analista è piccolo in quantità, ma è così importante in qualità da essere determinante nell’orientare la loro interazione.
Nelle sue interazioni con il Paziente di fatto l’Analista sopprime la sua B (a parte il suo parlare in modo gentile, tanto da non ferire o scioccare mai il Paziente); in altre parole, la B dell’Analista si riduce a suggerire idee meramente accattivanti, che dal Paziente possono essere considerate come provenienti non da una persona diversa, ma da se stesso, così come è ogni nuova idea che nasce nella sua mente o qualsiasi suo sentimento interiore. Il B del paziente invece è attivo; egli parla della sua vita inconscia, come sogni ed esperienze simili; questo comportamento è di natura emotiva (C), ma in maniera molto ridotta, perché il Paziente parla sul passato senza responsabilità o addirittura senza consapevolezza.
La A del Paziente è muta. Al contrario, la A dell’Analista è molto presente; mette in campo i presupposti personali, la sua esperienza umana di persona matura e la sua preparazione professionale. Egli interiorizza i contenuti delle comunicazioni verbali del Paziente, elabora questi contenuti, e prende decisioni sulla sua elaborazione per suggerire eventualmente (non più di) alcuni spunti al Paziente, volti ad aprire la sua mente a novità che lo avviino alla guarigione. Inoltre, lungo il tempo di una seduta l’Analista A costringe la sua C a immaginare e simulare la C del Paziente.
(Solo fuori dalla seduta i due attori hanno C diverse; in particolare, la C dell’Analista riacquista la libertà di interagire con le altre sue due dimensioni, A e B, per elaborare il materiale della seduta; mentre il Paziente torna a vivere la sua quotidianità di mutua interazione delle sue tre dimensioni: A, B e C).
Consideriamo ora le interazioni dei due attori attraverso il complesso delle loro tre dimensioni. Vediamo che, in assenza dell’A del Paziente, è la A dell’Analista che è importante; sebbene interagisca raramente e in modo molto delicato, ha un ruolo decisivo nell’orientare l’interazione.
Notiamo allora che sovrapponendo le triadi A-B-C dei due attori che vivono una seduta di terapia, si ottiene: 1) un’unica A, cioè quella degli interventi di orientamento che l’Analista dà alla sessione, 2) un unico B, perché è (quasi) solo il raccontare del Paziente e 3) un unico C, che è la fusione dei C di entrambi.
In sintesi, l’interazione delle due persone definisce una loro simbiosi intima attraverso la comune condivisione di una stessa C, più la B del solo Paziente e la A del solo Analista. Insomma, durante una seduta il processo terapeutico è vissuto da due persone, ma funziona come esperienza viva di una persona, quella aumentata; quindi, non fuoriesce dalla vita di un essere umano. La prova di ciò è data dal risultato di questa sovrapposizione dei due A-B-C: le due persone ottengono una serena cooperazione, incoraggiante il reciproco trasferimento di sentimenti e persino amore reciproco (C).
Questo fatto garantisce che la terapia funziona come un sano processo umano.
A mio parere, gli studi precedenti su questo processo di interazione erano manchevoli perché per capirlo occorre una concezione della personalità umana; ad es. le triadi A-B-C. In tal caso quel processo diventa un complesso di più elementi la cui dinamica può essere dettagliata: fusione delle due C, scambio del B con l’Analista, stimoli al Paziente per ripensare gli stimoli che l’Analista ricava dalla sua A, ecc.
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Considerazioni sulle due teorie
Il confronto tra la teoria generale della risoluzione dei conflitti di Galtung e la teoria della risoluzione dei conflitti interni di Freud suggerisce alcune considerazioni.
1) Il precedente tipo di applicazione della definizione di Galtung al processo psicoanalitico (cioè una triade A-B-C al Paziente e una all’Analista) ha prodotto nuovi risultati teorici; quindi in generale è preferibile ad altri metodi di applicazione delle triadi.
2) Nella teoria di Freud abbiamo due casi di aggiunta che generano due dinamiche, le quali portano insieme a risolvere il conflitto con una condivisione degli elementi A, B e C dei due attori, che si fondono parzialmente in un’unica personalità; questa nelle sedute di analisi elabora il conflitto interno al Paziente come conflitto della persona composta. Questo tipo di fusione giustifica il potere curativo del processo psicoanalitico e dà valore di teoria scientifica alla teoria bui Freud, benché non sia di natura sperimentale.
3) Nelle sedute psicoanalitiche i ruoli dei diversi elementi (A, B e C di ogni attore) sono prefissati: ad es., sia l’A del Paziente, sia il B e il C dell’Analista sono resi quasi muti. Invece, in un generico processo di risoluzione nonviolenta di un conflitto gli elementi corrispondenti delle due triadi devono sicuramente interagire positivamente al fine di raggiungere un accordo che non sia del tipo “tutto o niente”. In questo senso un processo di risoluzione di un conflitto non psicoanalitico è più difficile da descrivere.
4) L’aggiunta dei sogni del Paziente al suo comportamento oggettivo genera la dinamica di dialogo così profondo con l’Analista da permettergli di interpretare la vita interiore del Paziente. Galtung introduce (ma non lo fanno altre teorie della soluzione dei conflitti che io conosca) una aggiunta simile: il futuro immaginato dagli attori in conflitto. Però questa aggiunta è più debole di quella freudiana; per arrivare a comprendere il trauma di un conflitto generico occorrerebbero ancora altre aggiunte.
5) Di per sé la rappresentazione triadica di un conflitto escluderebbe la logica classica; altrimenti potremmo ridurre ciascuna sua triade a un elenco di coppie A&B, A&C, B&C o consonanti o antagoniste; invece A, B e C sono mutuamente in–dipendenti; questa parola è composta di due negazioni[5] ma non è equivalente ad una corrispondente parola affermativa (ad es. separate), come vorrebbe la logica non classica, dove due negazioni affermano. Tuttavia, Galtung non dà suggerimenti per pensare al di fuori della logica classica e non fa uso (neanche inavvertitamente) delle sue proposizioni caratteristiche, quelle doppiamente negate (a parte la parola non violenza, che però non viene riconosciuta come doppia negazione). Ciò indica che l’approfondimento della dinamica di un conflitto richiederebbe l’uso della logica non classica; ma usualmente ciò non viene fatto.[6]
Note:
[1] J. Galtung, Pace con mezzi pacifici (orig. 1996), Esperia, Milano, 1999, cap. 2.
[2] A. Drago, “Improving Galtung’ A-B-C to a scientific theory of all kinds of conflicts”, Ars Brevis. Anuari de la Càtedra Ramon Llull Blanquenra, 21 (2016) pp. 56-91.
[3] Forse Galtung, che da giovane ha lavorato anni con Danilo Dolci in Sicilia, ha ripreso questa idea dal primo non violento in Europa, Aldo Capitini; questi ha fondato la sua teoria filosofica della non violenza esattamente sulla idea di “aggiunta”. A. Capitini: “L’avvenire della dialettica”, in G. Cacioppo (a cura di): Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria TA, (1969), pp. 187-194. In più diversi fondatori di teorie scientifiche di tipo non assiomatico (Lazare Canrot, Evariste Galois) hanno usato la aggiunta, chiamandola proprio così, .
[4] Ho trovato solo un cenno in Transcend and Transform. Introduction to Conflict Work, Pluito, London, 2004, p. 45.
[5] Per aiutare il lettore a riconoscerle le ho sottolineate. Lo stesso vale per la parola non violenza.
[6] Per una trattazione di questo tipo vedasi il mio Storia e Tecniche dalla Non violenza, Laurenziana, Napoli, 2006, par. 2.7.
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Johan Galtung, professore di studi sulla pace, Dr. hc mult, è il fondatore della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e rettore della TRANSCEND Peace University-TPU. Prof. Galtung ha pubblicato 1.670 articoli e capitoli di libri, più di 500 editoriali per TRANSCEND Media Service-TMS, e 167 libri su temi della pace e correlate, di cui 41 sono stati tradotti in 35 lingue, per un totale di 135 traduzioni di libri, tra cui 50 Years-100 Peace and Conflict Perspectives, ‘pubblicati dalla TRANSCEND University Press-TUP.
Antonino Drago è stato professore associato di Storia della Fisica all’Università di Napoli, in pensione dal 2004, è membro della Rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente, e insegna presso la TRANSCEND Peace University-TPU.
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Tags: Conflict Mediation, Conflict Resolution, Culture of Peace, Education for Peace, Evolution, Johan Galtung, Peace, Peacebuilding, Sigmund Freud
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