(Italiano) Il pianeta non può sopravvivere alla crescente corsa agli armamenti
ORIGINAL LANGUAGES, 6 Nov 2023
Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service
– TNI ha da poco pubblicato uno ‘studio di caso’, mettendo in relazione le spese militari previste dalla NATO e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra suggeriti dall’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). La conclusione dell’articolo è netta: “il pianeta non può sopravvivere all’attuale corsa agli armamenti”.
The Transnational Institute (TNI): 50 anni di impegno
Il Transnational Institute (TNI) è un istituto internazionale di ricerca e di sostegno alle iniziative impegnate nella costruzione di un pianeta giusto, democratico e sostenibile. Da quasi 50 anni TNI contribuisce a creare reti tra movimenti sociali, studiosi impegnati e decisori politici.
TNI è stato fondato nel 1974, e la sua storia si intreccia con quella dei movimenti sociali globali, e della loro lotta per la giustizia economica, sociale e ambientale. Tra i temi ai quali ha dedicato maggiore impegno, vi è lo studio e la denuncia contro il militarismo, e a favore del disarmo: dalla fine degli anni ’70 del 1900 TNI ha ospitato incontri e ha prodotto, in particolare, documentazioni sulla NATO e sulla militarizzazione dell’Europa.
Nel 1982, due collaboratori di TNI, Mary Kaldor e Dan Smith, hanno pubblicato Disarming Europe (Dufour Editions): un testo sul disarmo, il non-allineamento e le nuove forme di difesa.
Anche la crisi ambientale è presente nell’Agenda del TNI da molti anni: è del 1998 la pubblicazione del libro Privatizing Nature (Sheila Newman, Pluto Press), che ispirò un’intera generazione di attivisti a collegare il paradigma economico ai problemi ambientali.
Con il passare degli anni, e con il crescente intrecciarsi e alimentarsi vicendevolmente di problemi economici, sociali e ambientali, TNI ha esteso i suoi campi di indagine, allo scopo di fornire al pubblico – e in particolare alla società civile impegnata – strumenti di conoscenza utili per promuovere pace, equità e democrazia in un mondo sostenibile.
Attualmente TNI ospita una pagina (continuamente aggiornata) di articoli e informazioni sulla drammatica situazione a Gaza (Israel’s war on Gaza A reading list)
Fuoco incrociato sul clima
Uno degli aspetti più drammatici e paradossali del nostro tempo è la contraddizione tra la quasi assente o lentissima presa di coscienza delle conseguenze che certe attività umane stanno causando sui sistemi naturali – sistemi che rendono possibile e continuamente sostengono la vita umana nel pianeta – e le reazioni sempre più rapide e devastanti manifestate dal nostro pianeta. I cicli biogeochimici, le grandi correnti marine, la circolazione nell’atmosfera, la riproduzione di numerosi viventi, la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo in vaste zone del pianeta stanno cambiando per effetto delle perturbazioni di origine antropica. Dai danni locali causati da azioni circoscritte, fino alle risposte globali che si manifestano su scale spaziali sempre più ampie, siamo in presenza di una accelerazione delle risposte della Terra, che sta reagendo con una varietà di modi, spesso inaspettati e per lo più irreversibili.
Noi sappiamo che il cambiamento climatico in atto – documentato scientificamente da una amplissima serie di misure e testimoniato dai drammatici eventi che si manifestano con crescente frequenza in tante parti del mondo – dovrebbe essere rallentato il più possibile con una serie di strategie: tra queste, la riduzione dei processi responsabili delle emissioni di gas con effetto serra.
Ebbene, in questa situazione di crescente instabilità, in cui prudenza e umiltà dovrebbero ispirare ogni decisione umana, assistiamo a uno sviluppo sconsiderato delle attività belliche: dalla produzione di armi al loro uso in campo, dall’accumulo di residui bellici alla costruzione di nuovi armamenti, in un perverso circolo vizioso che non solo sta causando la morte immediata milioni di esseri, umani e non umani, direttamente coinvolti, ma sta costruendo le premesse di innumerevoli altre morti, conseguenti alla crescente invivibilità dell’umanità nel nostro pianeta.
Guerra e clima. Un’indagine del Transnational Institute
TNI ha da poco pubblicato uno ‘studio di caso’, mettendo in relazione le spese militari previste dalla NATO e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra suggeriti dall’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). L’articolo[1], approfondito e dettagliato, esamina spese militari ed emissioni di gas serra (GHG); mette in luce i profitti delle industrie di armamenti e le loro attività di greenwashing; calcola l’impronta di carbonio del settore militare. Di fronte al ‘fuoco incrociato’ sul clima, la conclusione dell’articolo è netta: “il pianeta non può sopravvivere all’attuale corsa agli armamenti”.
Sottrarre risorse finanziarie dalle iniziative volte ad aumentare la resilienza umana per impegnarle in avventure militari è una scelta cruciale, che alimenta crisi multiple di instabilità politica, indebitamento, degrado ambientale, insicurezza alimentare, povertà… È una pretesa vana da parte delle nazioni ricche, la maggior parte delle quali sono membri della NATO, invocare i vincoli economici come motivo per non rispettare i propri obblighi di finanza climatica. È chiaramente falso quando vediamo quanto si impegnano nella guerra. […] Il vero impatto ambientale della guerra è impossibile da quantificare perché colpisce una serie impressionante di settori e ogni aspetto del benessere umano. Le guerre uccidono le persone, estinguono la biodiversità e distruggono le infrastrutture che altrimenti potrebbero fornire protezione di fronte a eventi meteorologici estremi. La guerra è un atto di negazione del problema climatico. (Dalla prefazione di Nnimmo Bassey, attivista ambientale nigeriano, scrittore, poeta).
Nelle pagine che seguono sono riassunti alcuni degli aspetti più rilevanti del documento.
Soldi alle armi invece che alla protezione climatica
Gli sforzi di mitigazione e adattamento climatico sono cronicamente sottofinanziati, contribuendo così ad aggravare la crisi climatica e i suoi impatti sugli abitanti di tutto il mondo. I finanziamenti per il clima sono una delle questioni più controverse nei vertici annuali delle Nazioni Unite sul clima: i paesi più ricchi, che hanno la maggiore responsabilità per il collasso climatico, non hanno mantenuto neppure le limitate promesse di finanziamento per coloro che si trovano ad affrontarne le conseguenze più dure.
Non solo: nel frattempo le nazioni più ricche e più inquinanti stanno aumentando le loro spese militari: la spesa militare globale ha raggiunto il livello record di 2,24 bilioni[2] di dollari, e più della metà viene spesa dai 31 stati membri della NATO, con la prospettiva di aumentarla ulteriormente nei prossimi anni.
Obiettivi contrastanti
L’obiettivo della NATO per tutti i suoi stati membri è di spendere almeno il 2% del loro Prodotto interno (PIL) nel settore militare. Questo studio esamina l’impatto di uno dei principali motivi dell’aumento delle spese delle forze armate globali. Esamina la storia dell’obiettivo, come determina la spesa militare, il suo impatto sulle emissioni di gas serra (GHG), il suo probabile impatto finanziario ed ecologico complessivo nel prossimo decennio e l’industria degli armamenti che ne trarrà profitto.
L’obiettivo della NATO di destinare il 2% del PIL alle spese militari era già stato espresso nel 2006, ben prima dell’inizio del conflitto Russia-Ucraina. Lo stato di guerra non ha fatto altro che rendere più pressante questa richiesta, e Il Segretario Generale della NATO ora la presenta come il minimo richiesto per la spesa militare della NATO e i suoi alleati. Il contrasto tra l’obiettivo della NATO con quello del Gruppo intergovernativo sul clima (IPCC) – che proponeva a tutte le nazioni di ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5°C – non potrebbe essere più drastico.
L’obiettivo indicato dall’IPCC si basa sui dati più affidabili e aggiornati forniti dalla scienza climatica disponibile, tuttavia è ampiamente ignorato dai membri della NATO, nessuno dei quali è impegnato a realizzare tagli reali alle emissioni. Il previsto aumento dei budget militari avrà il duplice effetto di aumentare in modo significativo le emissioni di gas serra militari e di sottrarre finanziamenti alle iniziative per il clima.
La ricerca
Nella ricerca pubblicata dagli Autori del TNI sono indicati alcuni dati quantitativi, tra cui:
- L’impronta di Carbonio della NATO è cresciuta di più di 30 milioni di tonnellate equivalenti (tCO2e) negli ultimi due anni: ciò equivale a immettere nelle strade più di 8 milioni di nuove auto.
- Le spese militari della NATO sono aumentate, dal 2021 al 2023, da 1.16 bilioni a 1.26 bilioni di $, e il numero di Stati che ha raggiunto l’obiettivo del 2% in spese militari è quasi raddoppiato: da 6 a 11. Se tutti i 31 Stati membri decidessero di destinare il 2% del PIL al settore militare, la spesa totale stimata tra il 2021 e il 2028 sarebbe di 11.8 bilioni di $. Questa somma sarebbe sufficiente a sostenere i costi di adattamento climatico dell’UNEP (United Nations Environment Programme) nei Paesi a medio e basso reddito per 7 anni.
- Le spese militari della NATO nel 2023 sarebbero state sufficienti a onorare la promessa – non rispettata – da parte delle nazioni più inquinanti di destinare alle iniziative per il clima 100 miliardi di $ all’anno per 12 anni.
- Per i membri europei della NATO, il bilione di Euro extra necessario per raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL in spese militari corrisponde alla somma necessaria per realizzare il ‘Green Deal’ (l’Accordo Verde) europeo.
Chi ci guadagna
I principali beneficiari degli obiettivi della NATO sono le industrie di armi, che hanno visto aumentare le loro entrate, i loro profitti e i valori delle loro azioni. L’ industria bellica sta esercitando pressioni per garantire che questi flussi di denaro diventino permanenti, richiedendo impegni strutturali a lungo termine per la produzione di armi e limitando gli impegni ambientali. Le attività di lobbying hanno dato i loro frutti, come si è visto nell’Atto dell’UE del 2023 a sostegno della produzione di munizioni (ASAP), nel Defence Production Action Plan della NATO (2023) e nel sostegno dell’amministrazione Biden alla produzione di armi. Ciò aumenterà anche le esportazioni di armi verso paesi al di fuori della NATO, poiché l’economia di guerra cerca ulteriori sbocchi, per continuare i suoi guadagni quando la guerra in Ucraina sarà conclusa.
Gli obiettivi perseguiti dalla NATO alimentano l’esplodere di nuovi conflitti, proprio mentre la crisi climatica sta peggiorando: aumentano le emissioni di gas-serra, e importanti risorse economiche vengono sottratte alla lotta per il clima. Eppure, la sicurezza e addirittura la vita sulla terra dipendono dalle iniziative volte a ridurre gli squilibri ambientali, in particolare quelli provocati dalla produzione di armamenti e dalle devastazioni che essi rendono possibili.
No alla guerra
L’opposizione alla guerra – oggi più che mai – deve essere espressa in modo sempre più deciso e consapevole: non solo da chi rifiuta la violenza nei conflitti tra gruppi umani, ma da tutta l’umanità, che nel rifiuto della guerra trova una delle possibili vie da percorrere per la salvaguardia della vita sul nostro pianeta.
Note:
[1] Lin, H.C., Buxton, N., Akkerman, M., Burton, D., de Vries, W. (October 2023), Climate crossfire: how NATO’s 2% military spending targets contribute to climate breakdown, Transnational Institute
[2] In inglese ‘trillions’: one trillion = mille miliardi (un bilione)
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.
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Tags: Arms Industry, Environment, NATO
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