(Italiano) Bollettino da uno zoo nucleare…
ORIGINAL LANGUAGES, 13 Jan 2025
Elena Camino | Centro Studi Sereno Regis – TRANSCEND Media Service
Come in un giardino zoologico
Dispatch from a nuclear petting zoo… Difficile tradurre questo titolo! E’ problematica l’associazione tra le parole: ‘petting’ (carezzare, coccolare) si riferisce di solito agli animali da compagnia, ed è più facile abbinarla alla parola ‘zoo’ che alla parola ‘nucleare’… Ma allora ‘nucleare’ che cosa c’entra? Come mettere insieme queste tre parole?
–Leggendo l’articolo emerge l’idea che un deposito nucleare possa essere paragonato a uno zoo che ospita animali da compagnia: un luogo tranquillo, ben custodito ma sicuro, da visitare con curiosità e interesse. Il potere delle parole!
L’Autore, un ricercatore di nome Collin Van Son, che ha da poco conseguito un Master sulla Sicurezza Internazionale, ha pubblicato questo articolo il 15 Novembre sul 2024 sul Bollettino degli Scienziati Atomici. Egli racconta di essere andato con dei colleghi a visitare la base aerea di Offtutt, sede del Comando Strategico (Stratcom ) degli Stati Uniti, che è responsabile di mantenere, proteggere, e all’occorrenza utilizzare l’arsenale USA, costituito da più di 1.700 testate nucleari schierate.
Via via che il nostro bus procedeva nella base, potemmo vedere schierate alcune delle risorse strategiche: un bambardiere B-2 Spirit, un bombardiere B-52H Stratofortress, un aereo da combattimento F-35 Lightning.
L ’Autore racconta che, mentre uno degli accompagnatori spiegava le proprietà dei mezzi schierati, è sceso dal bus: come un potenziale acquirente di una casa che va a controllare i muri, allungai la mano e picchiettai le nocche sulle porte aperte del vano bombe. Spiega che toccare le risorse strategiche era qualcosa che erano stati incoraggiati a fare nella loro formazione: durante il periodo di addestramento alla base, la fila di aerei assemblati veniva ripetutamente definita “the petting zoo”: lo zoo delle carezze. Carol Cohn (autrice del libro Women-wars-contested-histories, uncertain futures) già nel 1987 riferiva che l’invito ad accarezzare (pat) missili e bombardieri era molto usato nella narrazione nucleare, nonostante il fatto che di solito si danno buffetti a creature piccole, carine, innocue, e non terribilmente distruttive.
Un ‘petting zoo’ è un ambiente sicuro, controllato, dove i bambini possono interagire con gli animali senza paura di essere morsicati o colpiti. Gli ‘animali’ nella base aerea di Offtutt erano circondati da guardie armate, ma presentandoli nel contesto di un giardino zoologico l’implicazione era chiara: queste creature sono sotto il nostro controllo, sono addomesticate.
La castrazione nucleare
Collin Van Son, l’Autore dell’articolo che vi sto illustrando, prosegue il suo racconto, e spiega che la visita alla base aerea era accompagnata dalla partecipazione a una conferenza internazionale sulla ‘deterrenza’. In questo contesto il termine ‘deterrenza’ si riferisce all’uso – da parte degli Stati Uniti – della minaccia di esercitare la forza, inclusa quella nucleare, per dissuadere gli avversari ad agire con azioni contrarie agli interessi nazionali degli USA.
Le sfide prospettate dai responsabili USA contemplano le conseguenze più terribili, ma Collin van Son è attratto da qualcosa di apparentemente trascurabile: il linguaggio con cui i partecipanti alla conferenza si riferiscono all’argomento. Un relatore, descrivendo i diversi modi con cui gli Stati Uniti potrebbero rispondere a una situazione di crescente instabilità nucleare, propose di rimettere in funzione i tubi di lancio di missili nucleari sottomarini che erano stati disattivati in seguito al precedente trattato START per il controllo delle armi. Non si riferiva a questi tubi di lancio come disabilitati o disattivati: li definì “castrati” (neutered).
“In un campo il cui discorso è così spesso asettico e astratto, la scelta di “neutered” è notevole, non solo per aver attirato intenzionalmente l’attenzione sul sottotesto sessuale che spesso accompagna le armi nucleari, ma anche per ciò che implica sul possesso nucleare e sul controllo degli armamenti. Se i tubi di lancio possono essere castrati, l’implicazione è che un tubo di lancio operativo, in grado di sparare un’arma nucleare, è biologicamente naturale. Il controllo degli armamenti è quindi presentato come una sorta di intervento chirurgico, prudente, forse, ma comunque doloroso e innaturale, persino degradante.
Una persona che si riferisca ai tubi di lancio di un missile come ‘castrati’ non confonde un sottomarino atomico con un gatto domestico, ma esprime a parole una convinzione molto diffusa: che sia appropriato e naturale possedere armi nucleari.
Barriera nucleare
Anche ‘backstop’ è una parola ambigua, come ‘petting’. Può voler dire barriera, muro, sostegno, arresto…). Collin Van Son aveva familiarità con questa parola nell’ambito di uno sport, il baseball: la incontra per prima volta fuori dal contesto sportivo in occasione della National Defense Strategy del 2022, quando viene utilizzata per definire “L’ultima difesa per scoraggiare gli attacchi alla patria”.
Utilizzando il termine “backstop” viene riformulato lo scenario delle armi nucleari, dal ruolo di minaccia a quello di rete di sicurezza:
Un modo per garantire che nessuno venga ferito dal “gioco” della geopolitica. Il fatto che il baseball sia una competizione con regole ben definite e aspettative di sportività, conferisce un senso di conforto e familiarità alle discussioni sul backstop nucleare.
Alla stessa conferenza – così riferisce l’Autore dell’articolo – un relatore annunciò l’imminente messa in funzione di quello che si prevede sarà il supercomputer più potente del mondo, Questo sistema, ritenuto essenziale per la progettazione e la gestione di un moderno apparato nucleare, si chiama El Capitan: lo stesso nome del monolite di granito che domina il Parco Nazionale di Yosemite, ergendosi fino a circa 3.000 metri sopra la valle.
Come il suo omonimo scolpito nella roccia, anche il computer El Cap è un monolite, che richiede per le sue funzioni di base una potenza di circa 30 megawatt (MW), sufficiente per far funzionare una città di medie dimensioni. Il computer risiederà in una struttura senza finestre, illuminata da lampade fluorescenti e climatizzata, eppure il suo nome implica una forte associazione con la natura. Yosemite è un luogo il cui significato spirituale è stato riconosciuto per centinaia di anni da persone di tradizioni culturali molto diverse, e adesso è stato scelto per dare nome a una macchina progettata per gestire e potenziare le armi nucleari.
La bomba come Dio?
Collin Van Son prosegue la sua riflessione sulle metafore citando un recente articolo intitolato “La Bomba come Dio”. L’Autore, Jacques Hymans, sostiene che una delle ragioni di quella che egli chiama ‘embeddedness’ (radicamento, inclusione, integrazione) nucleare è che le armi nucleari hanno assunto un significato spirituale metaforico che pone al di là di ogni dubbio o discussione il loro possesso. La metafora della Bomba come Dio impedisce effettivamente a uno Stato di intravedere la possibilità di imboccare una strada verso la rinuncia al nucleare. Del resto, la “santità” (l’intoccabilità?) che gli Stati nucleari hanno attribuito alle loro armi può essere fatta risalire al primo test nucleare (nome in codice Trinity).
Il linguaggio è importante per la politica del disarmo in diversi modi. Uno dei più ovvi è nella formulazione dei testi degli accordi e dei trattati internazionali sul disarmo, motivo per cui tali testi sono soggetti a intense negoziazioni e controlli. Guardando oltre questo livello superficiale, tuttavia, il potere del linguaggio include anche la capacità non solo di riflettere sulla politica del disarmo e sulle contese politiche, ma anche sulla capacità della mente umana di prendere in considerazione l’eventualità di costruirle e utilizzarle.
Il tempo nucleare
Anthony Burke, in un articolo sulle metafore temporali del nucleare, suggerisce che la possibilità reale della distruzione nucleare e la sua capacità di annientare il tempo dell’umanità in quanto tale, metta profondamente in discussione le metafore del tempo nucleare così come concepite finora dall’esperienza umana in termini di continuità, ricorrenza, progresso, evoluzione. Sarebbe più corretto proporre un’immagine più convincente del tempo nucleare, la cui vera durata è molte volte più estesa della storia passata e futura dell’umanità, e richiederebbe una assunzione di responsabilità nel presente per prevenire i danni nucleari che possono perdurare in un arco di tempo nucleare che è al di là della nostra immaginazione.
Riflettere sulle metafore
Collin Van Son conclude la visita guidata alla base aerea di Offtutt, sede del Comando degli USA, invitando lettrici e lettori a riflettere sulla varietà di temi con cui si discute sulla deterrenza nucleare: addomesticamento, sterilizzazione, sport, natura e divinità. Prese insieme, queste metafore parlano di una convinzione radicata che le armi nucleari siano naturali e controllabili, e quindi accettabili. Anche quando fatte inconsciamente, meritano di essere esaminate dagli elettori, dai leader e dagli esperti nucleari. Non solo, e non tanto per esercitare un controllo del dialogo nucleare, ma per dedicare maggiore attenzione all’ascolto degli altri e di noi stessi. Nella misura in cui il linguaggio plasma la nostra capacità di pensare e quindi di agire, le parole che usiamo per descrivere le armi nucleari hanno un potere pari a quello delle armi stesse.
Una voce femminile
Nel testo dell’articolo che ho ripetutamente citato, Collin Van Son cita un articolo di Carol Cohn, del Centro per gli studi psicologici nell’era nucleare, presentato in occasione della Prima Conferenza Annuale su ‘Discorso, Pace, Sicurezza e Società Internazionale’.
Carol Cohn racconta la sua esperienza di partecipazione a una scuola estiva, nel 1984, tenuta da parte di intellettuali esperti della difesa a un pubblico di 48 insegnanti di college (28 maschi e 10 femmine) sui temi della deterrenza, delle dottrine strategiche e del controllo delle armi nucleari. La sua presenza al corso faceva parte di un progetto in cui la studiosa intendeva indagare sulla natura del pensiero strategico nucleare e sul ruolo del linguaggio nel plasmare le scelte difensive associate alla deterrenza nucleare.
Il racconto di Carol Cohn individua nell’uso di un linguaggio ricco di astrazioni ed eufemismi, e di metafore in grado di rovesciare il senso delle parole, il modo più usato dai relatori nel comunicare. ‘Bombe pulite’ ne è un esempio perfetto. Questo linguaggio ha un enorme potere distruttivo, ma è stato completamente depurato dalle ricadute emotive che avrebbe avuto se fosse stato accompagnato dalle descrizioni di uccisioni di massa, di corpi mutilati, di sofferenze umane. Non si parla di città incenerite, ma di danni collaterali; si propongono attacchi nucleari come interventi chirurgici. L’atto stesso di pronunciare una frase come “l’accettabilità di 20 milioni di morti” genera una frattura nella nostra coscienza, incapace di concepire quali limiti porre alla sofferenza umana, e quali frontiere porre di fonte alla volontà umana di violare i valori umani.
Carol Cohn, nell’introdurre la sua presentazione, scriveva:
“Questo documento è l’inizio di un’analisi della natura del pensiero strategico nucleare; la sua enfasi è sul ruolo di un linguaggio specializzato, un linguaggio che chiamo “tecnostrategico”. Sono giunta a credere che questo linguaggio rifletta e dia forma alla natura del progetto strategico nucleare americano; che svolga un ruolo centrale nel consentire agli intellettuali della difesa di pensare e agire come fanno…”
L’invito attuale di Collin Van Son, e quello di Carol Cohn (di quasi quarant’anni anni fa), sono tuttora validi:
Dobbiamo prestare molta attenzione al ruolo del linguaggio che noi e gli altri scegliamo di usare, con chi ci consente di comunicare e che cosa ci consente di pensare e dire.
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Elena Camino è membro della rete TRANSCEND per la Pace, Sviluppo e Ambiente e Gruppo ASSEFA Torino.
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Tags: Nuclear Weapons, Zoo
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