(Italiano) Una Pace Cristiana?
ORIGINAL LANGUAGES, 13 Jan 2014
Johan Galtung – TRANSCEND Media Service
Che dono natalizio a tutti noi da quel sorprendente papa Francesco, il suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, Fraternità, fondamento e via per la pace (testo completo in: http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=48781, NdT). Un testo rigoroso suddiviso in dieci sezioni. Ecco un tentativo di riassumerne alcuni punti chiave:
1 Un irreprimibile desiderio di fraternità ci permette di vedere gli altri non come nemici o rivali, ma come fratelli e sorelle. Però è necessario riferirsi a un Padre comune; altrimenti diventa “sempre più simile a un mero do ut des pragmatico ed egoista”.
2 La storia di Caino e Abele, i primi fratelli, figli della prima coppia, Adamo ed Eva, insegna che abbiamo una vocazione intrinseca alla fraternità, ma “attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione a essere fratelli”: Caino uccise Abele per gelosia perché Dio prediligeva Abele.
3 La fraternità umana si rigenera in e mediante Gesù Cristo con la sua morte e resurrezione – la Croce è il centro di fondamento definitivo di tale fraternità – nessuna separazione fra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei Gentili, non estraneo al patto della Promessa.
4 La fraternità è il fondamento e la via – la pace è opera, è opus solidaritatis, un dovere di solidarietà, di giustizia sociale, di carità universale, di uno sviluppo più umano e sostenibile.
5 La fraternità è indispensabile per combattere la povertà, rapporti superficiali, dipendenze sempre più patologiche – ma dev’essere riscoperta “in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso la condivisione delle gioie e dei dolori” – per ispirare politiche che riducano un’eccessiva disuguaglianza.
6 La riscoperta della fraternità nell’economia dovrebbe superare l’avida ricerca di beni materiali e l’impoverimento delle relazioni interpersonali e comunitarie, portando a un ripensamento dei nostri modelli di sviluppo economico e al cambiamento degli stili di vita a favore di prudenza, temperanza, giustizia e fortezza – a favore della dignità umana.
7 La fraternità estingue la guerra ascoltando il grido di sofferenza delle vittime indifese, e invece di vedere l’altro come un nemico da sconfiggere, scopre il proprio fratello e la propria sorella e va oltre per incontrare l’altro in dialogo, perdono e riconciliazione, rendendo la pace un diritto fondamentale e un prerequisito a ogni altro diritto.
8 La corruzione e il crimine organizzato minacciano la fraternità – la gente dovrebbe competere in stima reciproca ricordando di essere fratelli e sorelle, superando la corruzione e l’organizzazione criminale, il traffico di valuta e la speculazione finanziaria, la prostituzione e lo stupro.
9 La fraternità preserva e coltiva la natura come un dono comune del Creatore riconoscendone la “grammatica” inscritta nella natura ed esercitando un’amministrazione responsabile di essa, come nel settore agricolo per evitare la continua vergogna della fame nel mondo.
10 La fraternità dev’essere scoperta, amata, esperita, proclamata, testimoniata con l’amore, non con “un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo”, mediante il servizio, l’anima di una fraternità che reca pace a ciascuno sulla nostra amata terra.
Tanta bellezza e saggezza, basata anche su molti predecessori. Un’umanità in lotta per la pace può essere grata a un papa che ci rammenta la pace diretta con la solidarietà, la pace strutturale con lo sviluppo, e la qualità spirituale della pace, la pace culturale. Se si toglie la dedizione spirituale a qualcosa aldilà di se stessi, si ottengono macchine umane con perizia tecnica e uno scambio dominato dal pragmatismo e dall’egoismo. Fin qui tutto bene.
Il problema arriva con la fraternità – in seguito ampliata a fratelli e sorelle – fondata sull’avere lo stesso Padre, il Dio cristiano, confermata con la fede nel Figlio, il Cristo, come salvatore. Il papa basa la fraternità sulla narrativa cristiana e sul modello famigliare. Ma c’è un concetto più ampio: la cultura del noi della giusta condivisione di gioie e dolori, opposta a una cultura dell’io basata su bilanci etici individuali che diventano pragmatici ed egoisti. Come un matrimonio senza il senso del noi (we-ness).
Sicché, per la pace fra i paesi nordici, fra i paesi UE, nel mondo intero, deve esserci qualche sentimento, non solo un’idea o un valore di essere nordici, europei, di una parte dell’umanità. Ci sono linee di faglia nella nostra anima da superare per espandere i “circoli del noi” contro tutti gli sforzi di “capi” assetati di potere e dei media di renderle più profonde come giustificazione per uccidere.
Effettivamente, il Papa esplora la fraternità soltanto per i credenti nel Padre e nel Figlio, gettando un ponte solo fra ebrei e cristiani. Ma non è indispensabile il cristianesimo per considerare l’altro come possibile interlocutore e non un nemico automatico. Questo aspetto è già contenuto spiritualmente nel senso del noi. La via cristiana del Papa può funzionare per i credenti, ma fortunatamente ci sono molti altri approcci, alcuni dei quali più globali.
I diritti umani in costante espansione dall’individualismo ai diritti collettivi ne sono un esempio; e il Papa considera la pace come prerequisito per gli altri diritti (punto 7 più sopra). Così pure la Dichiarazione Universale dei Diritti all’articolo 28:
Ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati.
In questo innovativo messaggio di Papa Francesco troviamo la cooperazione per un beneficio mutuo e (meno dis-)uguale, armonia come condivisione di gioie e dolori, perdono e riconciliazione, ma non la risoluzione dei conflitti di Francesco d’Assisi, la chiave per una pace negativa in quanto riduzione della violenza. Troviamo un Padre che preferisce un fratello all’altro, ingenerando gelosia; che esorta Abramo a sacrificargli il figlio Isacco ma ne trattiene la mano all’ultimo secondo; tuttavia sacrifica il proprio figlio Gesù che implora misericordia invece che il mistero di Giovanni 3:16 [Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna]. Troviamo Gesù e la sua opus solidaritatis dissolti, il Padre severo e l’Impero Romano sopravvissuti.
Immaginiamo una narrativa cristiana alternativa. Le due donne, Maria e Maddalena, mediano nel conflitto esagonale fra Padre e Figlio, ebrei e farisei, Ponzio Pilato e Impero Romano. Il Padre libera dalla croce il Figlio in cambio di molti anni di opere samaritane ispirate dalla compassione e dalla coscienza (e il compimento dell’amore con Maddalena), i farisei vengono assicurati che il regno di cui parlava Gesù è interiore e nell’aldilà, non quello dell’INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum), il re dei giudei, ed essi allora amnistiano sia lui sia Barabba. Ponzio Pilato discute con Roma a favore di un impero più come comunità di nazioni, una delle quali ebraica, forse con se stesso come primo governatore, presagio dell’Impero Ottomano musulmano – di estensione non così dissimile – 1500 anni dopo. Il Figlio, insieme alla moglie, si concentra sul ministero; il Padre sull’amore e la fraternità-sororità per atti e fede, non per paura del castigo come l’orrore del principe italiano machiavellico – De Principatibus fu scritto 500 anni fa – così ovviamente modellato sul Padre severo (e per tale ragione divenne un modello in Occidente).
Si può obiettare che questo non è il cristianesimo della chiesa di papa Francesco. Vero, ma l’Impero Romano è crollato, e il mondo si muove, con ruolo delle donne e democrazia-autonomia-diritti umani almeno come ideali, non autoritarismo-impero-sacrificio.
Papa Francesco è un gesuita. Forse più Figlio, meno Padre?
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Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis.
Titolo originale: A Christian Peace? – TRANSCEND Media Service-TMS
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